L’Est ribelle vota e sfida Kiev Mogherini: “Ostacolo alla pace”

L’Est ribelle vota e sfida Kiev Mogherini: “Ostacolo alla pace”

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MOSCA . Alle urne con rabbia, paura, e vaghe speranze di pace. Tra barricate, continue ronde di miliziani armati, e echi di esplosioni in lontananza, la gente di Donetsk e Lugansk ha eletto ieri Presidenti e Parlamento delle due repubbliche ribelli dell’Ucraina dell’Est. Un voto che sarà riconosciuto solo dalla Russia, ma che è stato bollato come illegittimo da Kiev, dagli Usa e dall’Ue. «Un ostacolo alla pace», lo ha definito il nuovo Alto rappresentante della Politica estera e della Sicurezza comune dell’Unione Europea Federica Mogherini. Un nuovo elemento di tensione che potrebbe servire a Kiev per giustificare una ripresa dell’offensiva che ormai si paventa da settimane, e a Mosca per continuare ad armare e sostenere logisticamente le truppe secessioniste. L’affluenza è stata molto alta, tutto si è svolto con un relativo ordine in un clima di guerra e di nostalgia per un passato sovietico riportato in auge con un profluvio di citazioni, ritratti e slogan di Stalin, Lenin e dei grandi capi militari della Armata Rossa che fu. Dalle dichiarazioni degli elettori, riportate in diretta dai seggi dalle tv russe, viene fuori la voglia di sancire una volta per tutte l’indipendenza da Kiev e di rispondere con una rottura definitiva alla presa del potere ucraino da parte di forze nazionaliste e “anti russe”. «Spero che finalmente tutti capiranno che siamo indipendenti e che dovranno trattare la pace con noi», diceva una ragazza bionda dall’aria concitata. «Non abbiamo niente a che vedere con i fascisti di Kiev. Ora dobbiamo estendere la nostra area a Odessa, a Kharkiv e alle altre città russofone di Ucraina», ripeteva minaccioso un anziano minatore.
Sui risultati non c’era da aspettarsi alcuna sorpresa, visto che i due favoriti correvano praticamente da soli contro concorrenti inseriti giusto per fare numero. Presidente di Donetsk sarà dunque Aleksandr Zakharchenko, 38 anni, premier uscente, combattente delle milizie ribelli, ferito sul campo durante le battaglie di questa estate. A Lugansk invece è stato confermato l’attuale Presidente, Igor Plotinskij, 50 anni, già ufficiale dell’Armata Rossa sovietica. Il progetto dichiarato è di federare al più presto le due repubbliche autoproclamate sotto la sigla Novo Rossja, con la speranza di estendersi ancora alle altre zone russofone.
Un segnale a Kiev ma, forse, anche all’amica Russia, che negli ultimi tempi avrebbe frenato ogni discorso sulla “guerra a oltranza fino alla vittoria”, per incanalare seppur turbolente trattative di pace. Il Cremlino ha infatti spiegato la sua scelta di riconoscere le elezioni con il fatto che questo «rinforza nei fatti l’autonomia delle due regioni», restando aggrappato alla possibilità di una mediazione. I rappresentanti adesso eletti potrebbero infatti sedersi ora al tavolo delle trattative con maggiore credibiltà e possibilità di essere ascoltati. Ma è un passaggio molto stretto. A Kiev, dove le elezioni della settimana scorsa hanno sconfitto il presidente Poroshenko e portato in Parlamento molte forze nazionaliste, si urla contro la provocazione del voto a Est, si denunciano presunti sconfinamenti di truppe russe, si paragona il Donbass alla ferita ancora aperta dell’annessione della Crimea. Voci e rumori di guerra che si fanno sempre più forti.


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