Obama tende la mano ai nemici

Obama tende la mano ai nemici

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È stato un discorso conciliante quello di Barack Obama all’indomani del voto di Midterm: il presidente si è detto «ansioso di collaborare con il nuovo Congresso» per il bene dell’America e ha teso la mano ai leader repubblicani della Camera e del Senato promettendo che cercherà il compromesso. «Prevedo di trascorrere ogni momento dei prossimi due anni per fare il mio lavoro nel miglior modo possibile», ha detto il presidente democratico, chiedendo subito nuovi fondi per combattere l’Ebola e l’autorizzazione ad agire contro i terroristi dell’Isis. Ha sottolineato che è questo il desiderio espresso alle urne dagli americani. «Il messaggio che ci hanno lanciato è: fate il vostro lavoro». Allo stesso tempo, però, Obama ha segnalato, «se occorre», di essere pronto ad andare avanti da solo: ha confermato che agirà con una decisione esecutiva entro fine anno pur di ridisegnare il sistema Usa sull’immigrazione bloccato finora dall’ostruzionismo repubblicano. «Sono ansioso di ascoltare le idee ma non starò semplicemente ad aspettare».
Nel primo giorno da presidente «lame duck», cioè senza supporto parlamentare, Obama ha ammesso che i repubblicani hanno goduto di «una buona notte elettorale» l’altro ieri quando l’America ha votato per la Camera, un terzo del Senato e i governatori di 36 Stati. In realtà per i democratici è stata una notte peggiore del previsto.
Per la prima volta in otto anni, il partito rivale guida entrambi i rami del Congresso. Al Senato la destra ha strappato ai democratici almeno 7 seggi, uno in più rispetto a quelli necessari per ottenere la maggioranza. Nella notte, la loro prima vittoria è stata in West Virginia, dove un repubblicano non veniva eletto al Senato dal 1956. Poi è toccato all’Arkansas, che per la prima volta da 141 anni non manderà alcun democratico al Congresso. Più tardi la destra ha prevalso in Stati come l’Iowa, trampolino di lancio di Obama nel 2008, e il Colorado (impensierendo i democratici anche in vista delle presidenziali del 2016). Il partito del presidente non è riuscito a tenersi nemmeno la North Carolina, sede dell’ultima grande convention del partito. La marcia della destra non è finita: con i risultati dell’Alaska e della Louisiana (questi ultimi a dicembre, dopo il ballottaggio) i repubblicani potrebbero arrivare a 54 seggi, capovolgendo l’equilibrio attuale (i democratici ne avevano 55). Una sorprese è la Virginia dove il senatore democratico Mark Warner, che avrebbe dovuto vincere facilmente, si è trovato testa a testa fino alla fine; il rivale potrebbe chiedere un riconteggio.
Alla Camera, poi, i repubblicani sono sulla buona strada per conquistare 246 seggi, la loro più ampia maggioranza in oltre 60 anni (dai tempi di Truman). Poche le buone notizie per i democratici: due giungono dal New Hampshire che ha riconfermato la senatrice Jeanne Shaheen e la governatrice Maggie Hassan, appoggiate da Hillary Clinton. La (probabile) candidata alla presidenza, tuttavia, non ha trascinato con sé tanti altri Stati: le visite (sue e del marito) in Kentucky hanno fatto poco, per esempio, per intaccare la riconferma di Mitch McConnell, che dopo trent’anni al Congresso si appresta a diventare il leader della maggioranza al Senato. I repubblicani, infine, hanno insediato i propri governatori anche in Stati democratici come Illinois, Maryland e Massachusetts, e hanno prevalso in Florida e Ohio, importanti per le presidenziali.
È il punto più basso per il presidente che nel 2008 elettrizzò il mondo come primo afroamericano alla Casa Bianca. Alle elezioni di Midterm del 2010 perse la Camera, ma ora dovrà affrontare anche un Senato a guida repubblicana. Quello dell’altro ieri è stato un referendum su di lui, su cui ha pesato la disillusione per la lenta ripresa economica (centrale per il 45% dei votanti), la sanità, l’Ebola, i terroristi dell’Isis. L’economia cresce, ma solo 3 americani su 10 ritengono che la loro situazione sia migliorata negli ultimi 2 anni; e due terzi dicono che l’America è sulla strada sbagliata. Più di quattro su 10 disapprovano comunque sia l’operato di Obama che quello del Congresso. Ora entrambi dovranno tentare di trovare la strada giusta.
Viviana Mazza


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