L’Italia sarà così obbligata, pena risarcimenti milionari e decine di migliaia di ricorsi ai giudici del lavoro, a tornare a far parte dello stato di diritto comunitario dopo quindici anni.
La sentenza ha un valore epocale perché vale sia per il lavoro pubblico che per quello privato. Dunque sia per la scuola e la pubblica amministrazione sia per le imprese. Questo significa che la riforma Poletti (la prima parte del Jobs Act) che ha cancellato la cosiddetta «causalità» dei contratti a termine può essere considerata non valida poiché contravviene alla direttiva europea 70 del 1999. Quella che vieta i rinnovi dei contratti a termine oltre i tre anni, ma che il governo Renzi non ha rispettato. Contro questa «riforma», i giuristi democratici, la Cgil e l’Usb hanno già presentato una denuncia alla Commissione Europea. In caso di parere positivo, il ricorso passerà alla Corte che, alla luce della sentenza di ieri, non potrà che confermare il suo orientamento. Nel frattempo in Italia, i giudici del lavoro saranno costretti ad applicare la sentenza nella scuola o negli enti di ricerca e nella P.A.
La Corte ha smontato uno degli alibi usati dai governi per non fare le assunzioni: quello dei concorsi pubblici. Una rarità ormai, di recente riscoperto in maniera caotica e iniqua dal ministero dell’Istruzione. Ebbene, i lavoratori dovranno essere assunti subito senza aspettare l’epletamento delle procedure concorsuali.
La sentenza fa inoltre traballare le basi sulle quali è stato costruito l’edificio della precarietà sin dal 1997, quando il centro-sinistra di Prodi approvò il famigerato «pacchetto Treu». Risolutivi sembrano i punti 100 e 110 della sentenza a favore di otto docenti e collaboratori amministrativi napoletani che hanno lavorato per il ministero dell’Istruzione per non meno di 45 mesi su un periodo di 5 anni. Il primo stabilisce che il contratto a tempo indeterminato è «la forma comune dei rapporti di lavoro» anche in settori come la scuola dove il tempo determinato rappresenta «una caratteristica dell’impiego». Il secondo punto smentisce le politiche dell’austerità con le quali i governi hanno giustificato il blocco delle assunzioni in tutto il pubblico impiego: il rigore del bilancio non può giustificare il «ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato». Bisognava aspettare l’Europa per affermare la certezza di questi principi. A tanto è arrivata la barbarie politica e giuridica nel nostro paese.
Ieri il governo Renzi ha provato a fare il vago. La risposta del ministro dell’Istruzione Stefania Giannini era prevedibile: la «buona scuola» prevede l’assunzione dei 148 mila docenti precari nelle graduatorie ad esaurimento e il concorso per 40 mila nel 2015. Tutto a posto allora? Per nulla. La sentenza della Corte chiarisce la fondamentale discriminazione compiuta dal governo ai danni di almeno altre 100 mila persone che non verranno assunte a settembre, pur avendone i titoli. Si tratta dei docenti abilitati Pas e Tfa, oltre che del personale Ata (almeno 15 mila). La maggior parte ha lavorato più di 36 mesi nella scuola. Si parla di 70 mila, ma anche di 100 mila.
Sui numeri non c’è certezza perché manca un censimento serio, l’unico strumento per procedere ad un vero piano per le assunzioni. La sentenza è infine un colpo tremendo, anche finanziario, alla politica degli annunci dell’esecutivo. Se, com’è prevedibile, continuerà sulla sua strada, allora dovrà prepararsi a pagare milioni di euro in risarcimenti. Nei tribunali italiani giacciono almeno diecimila ricorsi in attesa della sentenza della Corte. Da oggi i processi di moltiplicheranno a dismisura e si concluderanno con una condanna. Renzi si trova davanti a questa alternativa: assumere fino a 300 mila persone nella scuola, oppure iniziare a pagargli i danni.
Tutti i sindacati della scuola stanno affilando le armi giuridiche. L’Anief, che tra i primi ha iniziato a percorrere questa strada, prepara una valanga di nuovi ricorsi per imporre il pagamento degli scatti di anzianità ai precari, nonché le loro mensilità estive per un totale di 20 mila euro. «È una pagina storica – ha detto Marcello Pacifico, presidente Anief – Ora è assodato che non esistono ragioni oggettive per discriminare chi è stato assunto a tempo determinato nella scuola dal 1999». La Gilda di Rino Di Meglio ha recapitato una diffida al governo. Se entro dicembre non avvierà la stabilizzazione dei precari percorrerà fino in fondo la via giudiziaria.
«La questione precariato è esplosiva – sostiene Massimo Di Menna della Uil Scuola – Conferma la miopia di una gestione del personale attenta al risparmio anziché al rispetto dei diritti dei lavoratori». Piero Bernocchi dei Cobas chiama alla mobilitazione contro il governo che, come i precedenti, preferirà pagare le multe piuttosto che rispettare il diritto: «Con il suo piano Renzi voleva espellere il 50% dei docenti mettendo precari contro precari, fasce contro fasce. Non c’è riuscito. Ora bisogna estendere questa conquista a tutto il pubblico impiego». «Non bisogna illudere i precari, non possono aspettare gli anni del dibattimento nelle aule legali — sostiene Cristiano Fiorentini(Usb) — La sentenza non determina assunzioni immediate. Ci vuole una norma per la stabilizzazione».
«Il governo ha sostenuto che la Cgil difende i lavoratori stabili e discrimina quelli precari — sostiene Mimmo Pantaleo, segretario Flc-Cgil — La sentenza della Corte di Giustizia europea sulla scuola ha ribaltato questa falsità e dimostra come il nostro sindacato si stia battendo per i precari. Questa sentenza rafforza le ragioni dello sciopero generale del 12 dicembre». Giunta all’indomani dell’approvazione alla Camera del Jobs Act, la sentenza colpisce uno dei pilastri della riforma targata Renzi-Poletti: vieta cioè di rinnovare infinite volte il contratto a termine: «Ora devono scegliere — continua il sindacalista — O affrontano migliaia di ricorsi, e li perderanno, oppure stabilizzano tutti i precari e non solo quelli iscritti nelle graduatorie a esaurimento».
La sentenza della Corte Ue è uno di quei «casi in cui diciamo meno male che l’Europa c’è — ha commentato la segretaria Cgil Susanna Camusso — Non c’è dubbio che questa sentenza sia un precedente per i precari della P.A. e sul decreto Poletti. Il governo deve rispondere sul fatto che non procede alla stabilizzazione dei precari».