La sfida della Marina a governo e Ue: «A noi il comando dell’operazione Triton»

La sfida della Marina a governo e Ue: «A noi il comando dell’operazione Triton»

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ROMA Ormai è un vero e proprio scontro istituzionale che coinvolge anche l’Unione europea. La Marina Militare italiana ha chiesto ufficialmente ai responsabili di Frontex di affidare ai propri generali il comando dell’operazione «Triton» sul contrasto all’immigrazione irregolare. Pur consapevoli che deve essere il dipartimento del Viminale a gestire ogni fase della missione e dopo aver cercato di ottenere una proroga di «Mare Nostrum», i vertici hanno sollecitato, dieci giorni fa, il trasferimento del coordinamento dell’operazione avviata il primo novembre scorso da Pratica di Mare, dove ha sede il centro aeronavale della Guardia di Finanza, al proprio centro operativo di Santa Rosa.
La replica di Bruxelles è stata durissima nel respingere l’istanza , ma la vicenda potrebbe non essere ancora chiusa. E ciò rischia di creare non poche conseguenze nei rapporti internazionali, anche tenendo conto che sono 17 gli Stati membri ad aver aderito con mezzi e uomini ai pattugliamenti nel Mediterraneo. Ecco perché è possibile che si renda necessaria una presa di posizione dei ministri delegati alla gestione dell’emergenza, dunque i titolari dell’Interno, Angelino Alfano, e della Difesa, Roberta Pinotti.
Gli ammiragli
La contrarietà della Marina a qualsiasi nuovo intervento nel Mediterraneo è apparsa evidente sin dalle scorse settimane, quando il governo ha prima anticipato e poi stabilito con un decreto che «Mare Nostrum» sarebbe terminata. Ancor prima che si riunisse il Consiglio dei ministri per fissare la data di chiusura, l’ammiraglio Filippo Maria Foffi — comandante in capo della flotta italiana e dunque responsabile della missione nelle acque del Mediterraneo — va a Bruxelles e dichiara: «Andiamo avanti, non abbiamo ricevuto alcun ordine ufficiale e dunque proseguiremo anche quando inizierà “Triton”, la nuova operazione Frontex nel mar Mediterraneo, per facilitare un passaggio di consegne efficace e senza problemi di sorta».
Sembra una sorta di sfida al ministro dell’Interno che invece aveva più volte manifestato la volontà di interrompere la missione. Ed evidentemente non bastano le precisazioni che arrivano il giorno dopo, né la scelta dell’esecutivo di coinvolgere anche la Marina nell’operazione «Triton» sia pur con una presenza esigua. Perché a neanche una settimana dall’avvio, le istanze si fanno ancor più decise. Con una richiesta indirizzata direttamente al direttore esecutivo di «Frontex», Gil Arias, la Marina chiede il trasferimento del Coordinamento a Santa Rosa e dunque un ruolo di comando.
Il «no» di Bruxelles
La risposta di Arias è immediata e categorica nel respingere la richiesta ribadendo che «”Triton” è stata pianificata indipendentemente da “Mare Nostrum”» e che «non esiste alcuna complementarietà tra i due interventi». Non solo. Da Bruxelles si fa notare che si tratta di un’operazione di polizia varata con un protocollo siglato da tutti gli Stati partecipanti e dunque sarebbe «necessaria, ma improponibile, una rinegoziazione del piano», soprattutto tenendo conto che mezzi e uomini hanno già cominciato l’attività. Una posizione netta, però non è scontato che basti a risolvere la questione. Anche tenendo conto dei tempi che il governo italiano si è dato per smobilitare «Mare Nostrum».
L’intervento deciso nell’ottobre 2013, dopo il naufragio davanti a Lampedusa che provocò oltre 300 morti, prevedeva l’impiego delle navi della Marina sin davanti alle coste libiche con un costo per l’Italia di circa 9 milioni di euro al mese. Nonostante le rassicurazioni iniziali, Bruxelles non ha infatti mai voluto partecipare a «Mare Nostrum», ritenendo anzi che si trattasse di una missione che rischiava di incoraggiare le partenze dall’Africa verso l’Europa e quindi non ha previsto alcun finanziamento. E questo ha certamente creato numerosi problemi con il governo italiano, fino alla scelta di procedere poi insieme sia pur con modalità completamente diverse.
Mezzi già schierati
I numeri dimostrano che in un anno sono state salvate e accolte migliaia di persone, ma il governo ha comunque ritenuto che non si trattasse di un impegno sostenibile e ha preferito inserirsi nel programma internazionale, mantenendo comunque il coordinamento delle attività anche perché si tratta di presidiare i confini italiani, ancor prima di quelli europei.
La missione — che prevede l’impiego di 25 mezzi navali e 9 aerei con una spesa mensile di 2 milioni e 900 mila euro — ha obiettivi dichiarati: pattugliare il mare a trenta miglia dalle nostre coste per contrastare la migrazione irregolare, naturalmente prevedendo anche il soccorso in caso di emergenza che deve essere gestito e coordinato dalla Guardia Costiera. Un dispositivo contro il quale la Marina Militare continua a manifestare aperta contrarietà.


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