«Io stanchino». La svolta di Grillo

by redazione | 29 Novembre 2014 9:22

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MILANO Una accelerazione nel mezzo della tempesta, con i parlamentari e la base però ancora in subbuglio. Una mossa per uscire più in fretta, più compatti e più organizzati dal caos, almeno secondo le intenzioni del leader. Beppe Grillo, il giorno dopo le espulsioni dei deputati Massimo Artini e Paola Pinna, con il gruppo parlamentare a un passo dalla scissione, apre ufficialmente la nuova fase del Movimento. «Il M5S ha bisogno di una struttura di rappresentanza più ampia di quella attuale. Questo è un dato di fatto. Io, il camper e il blog non bastiamo più. Sono un po’ stanchino, come direbbe Forrest Gump », scrive il leader. E lancia la sua proposta: «Pur rimanendo nel ruolo di garante del M5S ho deciso di proporre cinque persone, tra le molte valide, che grazie alle loro diverse storie e competenze opereranno come riferimento più ampio del M5S in particolare sul territorio e in Parlamento».
I cinque vice del «direttorio» — come viene bollato da attivisti ed eletti pentastellati — sono tutti fedelissimi: Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio, Roberto Fico, Carla Ruocco e Carlo Sibilia. La scelta apre un polverone tra i parlamentari: «È la fine dell’uno vale uno», commentano alcuni esponenti. Federico Pizzarotti è anche più lapidario e sarcastico: «Uno vale», twitta. C’è chi promuove campagne sui social network contro il supporto ai colleghi. Un gruppetto di 10 deputati lancia l’hashtag #BeppeQuestaVoltaNonCiSto. Tra loro Artini, ma anche il capogruppo alla Camera Andrea Cecconi e gli ex capigruppo Alessio Villarosa e Giuseppe Brescia. «Non è detto poi che sia un incarico a vita», osserva Cecconi. «Se vince il sì diventeremo un partito — scrive invece su Facebook Patrizia Terzoni — ed io non voglio far parte di un partito. Le sovrastrutture lasciamole al Pd». Altri due parlamentari, Daniele Pesco e Dino Alberti, preannunciano le loro dimissioni in caso di vittoria del sì, che puntualmente arriva.
Per i cinque nuovi «garanti» è un plebiscito: il 91,7% vota a favore. Sul blog partecipano 37 mila iscritti, diecimila in più rispetto alla consultazione di ventiquattr’ore prima su Artini e Pinna (che ieri via web sono stati banditi dal parlare a nome del Movimento, ndr). Grillo commenta: «Siamo pronti a costruire il futuro del M5S». «Grazie a tutti. Sentiamo sinceramente il senso di responsabilità», postano i nuovi «vice». Poche parole — spiegano fonti vicine ai pentastellati — per «evitare strumentalizzazioni e non dare adito a nuove polemiche». Ma la situazione all’interno dei Cinque Stelle è tutt’altro che tranquilla.
I mal di pancia crescono. Sulla Rete qualche militante polemizza, citando le regole del «Non-statuto», che prevede una rappresentanza politica dei Cinque Stelle «senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi». Ma è chiaro ormai che il Movimento sta cambiando pelle e che queste metamorfosi rischiano anche di lasciare il segno. A Roma vanno in scena due riunioni distinte: da una parte i dissidenti, prossimi alla rottura, dall’altra i deputati, soprattutto ortodossi. Il nuovo direttorio viene accolto dal silenzio: in aula solo una trentina di deputati (su oltre cento totali) danno l’idea del distacco, dello scollamento tra i parlamentari e la decisione dei leader. L’ala critica invece si sonda, si pesa, tiene i contatti con Parma, con quella parte del Movimento che si ritiene delusa (ed esclusa) dalle scelte di Grillo e Casaleggio.
Artini torna ad attaccare. Ironizza sul collegio dei garanti, «un altro chiaro esempio di democrazia!». E aggiunge: «Sono nomi imposti dall’alto, senza la consultazione dei gruppi parlamentari e dell’assemblea, che invece doveva potersi esprimere». L’assemblea congiunta, in realtà, è stata convocata per martedì: servirà proprio per ratificare le ultime espulsioni, ma potrebbe anche trasformarsi nell’ultimo atto dei Cinque Stelle nei modi e nei numeri che hanno avuto finora in Parlamento.
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