Statali in corteo a Roma, storie dal serpentone tricolore

by redazione | 9 Novembre 2014 11:31

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Giove plu­vio deve essere il sin­da­ca­li­sta fra gli dei. Per il secondo sabato di mani­fe­sta­zione le pre­vi­sioni ven­gono smen­tite e al posto della piog­gia annun­ciata c’è il sole ad acco­gliere i lavo­ra­tori arri­vati da una peni­sola in gran parte sott’acqua.

Rispetto al 25 otto­bre il ser­pen­tone si snoda dalla stessa piazza — «Repub­blica» o «Ese­dra», a seconda delle inter­pre­ta­zioni — ma all’ora di pranzo, o quasi. E anche que­sta volta il cor­teo parte in anti­cipo. Il colpo d’occhio è impo­nente, il rosso Cgil domina solo leg­ger­mente sul blu della Uil e sul bian­co­verde della Cisl.

La dimo­stra­zione pla­stica che ora­mai i (sem­pre più carenti) ser­vizi pub­blici non sono più tenuti in piedi da dipen­denti pub­blici garan­titi e che, di con­se­guenza, i sin­da­cati non cer­cano di tute­lare più solo i 3,3 milioni di lavo­ra­tori diret­ta­mente sti­pen­diati dallo Stato o dalle sue ema­na­zioni viene data osser­vando gli stri­scioni pre­senti alla mani­fe­sta­zione: cli­ni­che e strut­ture sani­ta­rie con­ven­zio­nate, coo­pe­ra­tive sociali che spa­ziano dalla sicu­rezza alle scuole, lavo­ra­tori delle can­cel­lande Pro­vince. «Adesso siamo diven­tati Eav, che sta per ente di area vasta. Non sap­piamo nean­che cosa signi­fica e abbiamo vera­mente paura per il nostro posto di lavoro», rac­conta Gio­vanna, 46enne di Potenza, iscritta alla Cisl.

Insomma, la figura del tra­vet mini­ste­riale fan­caz­zi­sta e non licen­zia­bile è un luogo comune desueto: buona parte dei mani­fe­stanti è pre­ca­ria o a rischio mobi­lità involontaria.

In più, i sei anni di blocco con­trat­tuale ini­ziano a diven­tare «inso­ste­ni­bili» per tutti «i garan­titi del mini­stro Madia», come autoi­ro­ni­ca­mente si defi­scono inse­gnanti, guar­die car­ce­ca­rie e Vigili del Fuoco. I pom­pieri sono l’unico com­parto delle forze dell’ordine pre­sente in piazza. Scen­dendo per via Bar­be­rini, azio­nano la sirena blu siste­mata su un model­lino di camion di car­tone che spin­go­noc supe­rando sulla destra il cor­teo . «Alle forze dell’ordine Renzi ha pro­messo lo sblocco del con­tratto, ma noi non sap­piamo ancora se lo sblocco vale anche per noi: sarebbe vera­mente una beffa inac­cet­ta­bile», sin­te­tizza Cin­zia, unica donna del gruppetto.

Il mondo della scuola pri­meg­gia come pre­senza e fan­ta­sia. Da via Sistina si alza il coro: «Giro, giro­tondo, casca il mondo, casca la terra, Renzi va per terra». Il pre­mier è il ber­sa­glio di un’infinità di magliette, stri­scioni, slo­gan. Se la scuola è la sua prio­rità, non sem­bra aver con­vinto chi la scuola la manda avanti tutti i giorni. Inse­gnanti e Ata (gli assi­stenti tec­nici ammi­ni­stra­tivi che hanno sosti­tuito i bidelli) sono habi­tué delle pro­te­ste di piazza con­tro i governi.

Lo stri­scione della Flc di Sira­cusa sta lì a dimo­strarlo con le date che Salvo ha rac­colto sul lato interno: se ne con­tano 25 in 4 anni, dalla prima di Palermo il 20 mag­gio 2010 all’ultimo dello scorso 25 otto­bre. «La scuola non è fatta solo di muri, che fra l’altro Renzi ha solo pro­messo e non ha ancora aggiu­stato», rac­conta lui che lavora da 38 anni in una scuola — «ora isti­tuto com­pren­sivo» — di Pachino. «Io vedo inse­gnanti che ogni giorno vanno avanti solo per la pas­sione che hanno per il loro lavoro: non hanno stru­menti, non hanno auto­no­mia, non hanno niente. E i ragazzi lo capiscono».

La stret­toia che costeg­gia Villa Bor­ghese è un tappo per il cor­teo. Il sole dell’autunno più caldo da secoli scalda i mani­fe­stanti che per avan­zare cam­mi­nano di lato finendo nelle poz­zan­ghere, ricordo del nubi­fra­gio di giovedì.

La voglia di scen­dere in piazza c’è — eccome — nei lavo­ra­tori Uil. Roberto, 39 anni romano, è un dele­gato della fede­ra­zione del com­mer­cio: «Sono venuto per stare vicino ai miei col­le­ghi e per­ché sì, c’è tanta voglia di mani­fe­stare. Non so se arri­ve­remo allo scio­pero gene­rale, ma di sicuro i lavo­ra­tori di tanti com­parti sareb­bero con­tenti». Lui, come mol­tis­simi altri, ha legato alla mano il pal­lon­cino for­nito dalla Uil con Renzi a forma di Pinoc­chio con la scritta “Renzi stai sereno”. «Ulti­ma­mente è ner­voso con noi sin­da­cati, si deve cal­mare», spiega Roberto.

Fatte le dovute pro­por­zioni, il suc­cesso del 25 otto­bre è bis­sato. Piazza del Popolo è gre­mita anche se non pie­nis­sima. Ma è incon­fu­ta­bile il fatto che alle 4 e mezzo, quando i segre­tari gene­rali pren­dono la parola, ancora molta gente sta scen­dendo dal Pin­cio che sovra­sta la piazza. Nel retro­palco la sod­di­sfa­zione per la «riu­sci­tis­sima mobi­li­ta­zione» è palpabile.

L’unico momento di ten­sione accade quando a fondo piazza viene acceso un fumo­geno verde-blu men­tre parla Bar­ba­gallo. Il fuggi fuggi per ripa­rarsi dal fumo è gene­rale. L’unico a non fare una piega è Sauro, 44enne mode­nese con la felpa della Fiom: «Sono qua per fare com­pa­gnia ai miei amici, io in piazza ci sto sem­pre volentieri».

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