Terrore a Gerusalemme, auto sulla folla

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GERUSALEMME . Si vedono nettamente anche da lontano, nel controluce dei lampioni, le volute di gas lacrimogeno che si alzano dalle colline “arabe” di Gerusalemme, i colpi sordi dei lanciagranate stordenti e quelli più netti e secchi dei colpi veri. Nella notte, ancora non si è venuti a capo di una delle più drammatiche giornate della Città Santa. Iniziata con gli scontri all’ingresso della Spianata delle moschee, poi la tentata strage alla fermata del tram dove un miliziano di Hamas ha investito con il suo furgone un gruppo di passeggeri israeliani uccidendo un ufficiale della Border Police israeliana e ferito altre 11 persone, e proseguita nella sera con i cassonetti in fiamme e la guerriglia urbana a Shuafat, Beit Hanina, sul Monte Scopus, Silwan. Infine un nuovo investimento: tre militari israeliani feriti lievemente da un’auto palestinese a Sud di Betlemme. La Gerusalemme araba brucia.
L’evento più drammatico a fine mattinata, quando un furgone bianco condotto da Ibrahim al-Akari, 38 anni, un palestinese noto per essere membro di Hamas, ha falciato alla fermata della Tomba di Simeone il Giusto i passeggeri che aspettavano l’arrivo del tram, a poche centinaia di metri da dove il 22 ottobre scorso si è verificato un attacco analogo. Ha proseguito la sua corsa, poi ha abbandonato il furgone e armato di una spranga ha cercato di aggredire passanti e automobilisti. Le telecamere di sicurezza hanno ritratto ogni angolazione di questa follia, conclusa con l’uomo ucciso nel centro dell’incrocio più trafficato di Gerusalemme, dove il quartiere ebraico di Ramat Eshkol confina con quello arabo di Shuafat, dove abitava il terrorista ucciso, fratello di un boss dell’organizzazione uscito di carcere dopo 19 anni nell’ambito dello scambio di prigionieri per il soldato Shalit.
Nella città la tensione è altissima, basta uno stridio di gomme per seminare il panico sui marciapiedi. Ma questi attacchi sono difficili da prevenire, per la totale imprevedibilità e per il fatto che non si può considerare ogni palestinese alla guida di un auto come un potenziale killer. Ma per seminare la morte bastano un veicolo qualsiasi, un militante di basso rango, un acceleratore e la determinazione a seminare la morte. È la strategia del “lupo solitario”, di cui Hamas si compiace. Per questa emergenza, tutte le scuole di Israele hanno per il momento cancellato visite nella Città Santa.
I politici fanno del loro meglio per peggiorare la situazione che appare sempre più fuori controllo. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha subito tuonato contro il presidente Abu Mazen, accusando il leader palestinese di fomentare la campagna d’odio contro gli ebrei nella Città santa. Accuse rispedite al mittente da Ramallah che attribuisce a Netanyahu questa escalation per preparare nuove elezioni e ottenere l’appoggio della destra religiosa che incalza il premier perché estenda la sovranità di Israele anche sulla Spianata delle moschee. I gravi incidenti di ieri mattina — che hanno portato al richiamo dell’ambasciatore della Giordania in Israele e alla chiusura temporanea dell’ingresso — sono stati innescati da un gruppo di ebrei religiosi che volevano entrare (protetti dalla polizia) a pregare sulla Spianata, una profanazione per gli islamici che hanno sempre reagito violentemente a simili visite.
Gli scontri quasi per inerzia sono ripresi dopo il tramonto nei quartieri arabi della parte Est della Città santa. Rabbia, frustrazione, delusione. Sono gli ingredienti base in grado di liberare quell’odio carsico che attraversa e pervade la città, da Est a Ovest. Dagli arabi agli ebrei e viceversa. La palude in cui è rimasto impantanato il processo di pace non offre molte speranze, gioiscono invece le due ali estreme, Hamas e gli ultrà della destra religiosa ebraica. Nel vuoto cosmico lasciato dagli Stati Uniti e da Obama in questa crisi si ripresenta, sembra con più determinazione, l’Europa. Nel fine settimana arriva per la sua prima visita da “Mrs. Pesc” Federica Mogherini con tappa anche nella Striscia diGaza.


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