La Ue avverte l’Italia: pronti alla procedura

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ROMA . Palazzo Chigi tira dritto sul Jobs act e stila un calendario serrato: chiudere entro dicembre, varare i decreti attuativi sui quali sono già al lavoro i tecnici e avere regole certe a partire dal 1° gennaio del 2015. La posizione del governo va ad impattare sul percorso parlamentare della legge di Stabilità che questa settimana comincia l’esame in Commissione Bilancio con l’obiettivo di consegnare il testo all’aula entro il 24 novembre, data che potrebbe slittare di un paio di giorni come spesso avviene.
Il rischio è quello di un «incrocio»: per assecondare il timing del governo potrebbe essere necessario dunque anticipare l’esame del Jobs act rispetto alla legge di Stabilità: la valutazione che viene fatta in Commissione Bilancio è che il ritardo potrebbe spostare la data di consegna della “Finanziaria” al Senato verso il 10 dicembre.
Comprimendo l’esame di Palazzo Madama. A decidere sarà martedì la conferenza dei capigruppo in accordo con ministro dei rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi. Naturalmente la questione non è solo procedurale: dopo la fiducia al Senato (il 9 ottobre) al Jobs act, la minoranza Pd ha detto esplicitamente che vuole modifiche, soprattutto sul tema nodale dell’articolo 18, oggetto delle agitazioni sindacali di questi giorni, e che non intende votare una nuova fiducia al Senato (fiducia che peraltro Palazzo Chigi vuole utilizzate a Montecitorio solo se necessaria).
La partita della legge di Stabilità non ha ancora un esito scontato. In prima linea il Tfr in busta paga, al quale Palazzo Chigi non vuole rinunciare, ma che il Tesoro ha già annunciato di essere pronto a cambiare. L’intervento che sembra più gettonato è quello di ridurre le tasse a chi chiede l’anticipo instaurando una neutralità fiscale con chi riscuote a fine rapporto. L’altra ipotesi di cambiamento, peraltro chiesta da tutti i gruppi parlamentari, riguarda la riduzione delle tasse sul rendimento dei fondi pensione.


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