Un’operazione a sangue freddo

Un’operazione a sangue freddo

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È RICOMINCIATA in Italia la caccia al rom, o zingaro che dir si voglia, da sempre il più comodo e popolare dei bersagli con cui prendersela quando anche tu vivi ai margini e te la passi male.
SOLO che stavolta la caccia al rom viene orchestrata da piromani a sangue freddo. Smaliziati cercatori della prova di forza a contatto diretto col nemico etnico. Professionisti che mirano all’incendio delle periferie metropolitane, dove si contendono i marciapiedi con i centri sociali antagonisti. È lì, nel vuoto della politica, che costoro hanno intravisto lo spazio in cui costruire un nuovo polo di destra radicale. Una destra verdenera, o fascioleghista, pronta a plasmarsi sul modello di un alleato robusto come il Front National di Marine Le Pen. Il loro credo è l’etno-nazionalismo, il loro faro è Putin, la costruzione da abbattere è l’Europa.
Ma intanto si comincia dal basso: dall’insofferenza degli inquilini delle case popolari quando i nuovi assegnatari o, peggio, gli occupanti abusivi, sono le famiglie rom e sinti che hanno lasciato i campi nomadi, come succede nei quartieri milanesi del Lorenteggio e del Giambellino. Oppure dalla richiesta di chiudere quegli stessi campi nomadi in cui — parole del consigliere comunale vicentino Claudio Cicero — agli zingari piacerebbe «vivere nella sporcizia, come i maiali ».
Ieri a Roma gli studenti organizzati da Casapound hanno bloccato l’uscita ai residenti del campo di via Cesare Lombroso, impedendo ai bambini di andare a scuola. Come sempre avviene, i prevaricatori capovolgono la realtà atteggiandosi a vittime che finalmente trovano il coraggio di reagire. I manifestanti reggevano uno striscione appositamente studiato: “Stop alle violenze dei rom, alcuni italiani non si arrendono”. Sarebbero loro, il drappello d’avanguardia degli italiani coraggiosi. E poco importa che la devianza e la criminalità diffuse nei campi nomadi non rappresentino certo la fonte principale della sofferenza sociale cresciuta con la povertà materiale e la miseria culturale. Sono nemici per lo più inoffensivi ma fisicamente riconoscibili, difenderli risulta impopolare, e quindi vanno additati come corpo estraneo, stranieri anche quando si tratti di rom e sinti con la cittadinanza italiana.
L’operazione politica, studiata a sangue freddo, prevede il gesto ardito, la provocazione, il contatto diretto. Come il blitz mascherato da “ispezione” architettato da Matteo Salvini al campo sinti bolognese di via Erbosa, con il seguito prevedibilissimo dell’aggressione su cui il segretario leghista ha lucrato elettoralmente.
Da allora il meccanismo è stato replicato più volte a favore di telecamere. Ci sono trasmissioni televisive specializzate nella messinscena della rabbia popolare costruita ad arte. Si mettono d’accordo con Mario Borghezio che naturalmente si presta volentieri e finge di voler fare un sopralluogo, di volta in volta a un campo rom o a un centro d’accoglienza per rifugiati stranieri. Ne scaturisce una gazzarra. Oppure si convocano insieme il comitato dei cittadini arrabbiati e un paio di malcapitati rom, scatenando il putiferio.
Borghezio, eletto nella lista romana della Lega Nord con il sostegno di Casapound, rappresenta l’anello di congiunzione ideale di questa estrema destra nascente. Trova sempre un microfono compiacente, proprio lui che definì “vero patriota” il generale serbo-bosniaco Mladic, cioè il boia di Srebrenica; e che ammise di riconoscersi nelle idee del fanatico norvegese Anders Breivik, autore della strage di Utoya. Neanche questo basta a limitare il suo spazio mediatico, nell’autunno della rabbia.
La crisi della destra post-berlusconiana libera pulsioni reazionarie sempre in cerca dell’incidente, alimentando un clima di violenza dagli esiti imprevedibili. La caccia al rom stavolta non è un moto spontaneo, ma un vero e proprio cinico progetto politico.


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