«Devi stare attento, sei sotto indagine» Quelle soffiate degli agenti al boss

by redazione | 4 Dicembre 2014 9:39

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ROMA L’hanno preso con quasi quarantott’ore d’anticipo, perché temevano che potesse scappare. Dalle intercet tazioni degli ultimi giorni Massimo Carminati pareva consapevole dell’arresto imminente, e forse stava organizzando una fuga preventiva. Per questo la Procura ha fatto eseguire ai carabinieri del Ros un fermo per ipotetico possesso di armi, completo di perquisizione, in attesa di procedere con l’arresto per «Mafia capitale» insieme agli altri inquisiti. Una mossa per evitare la beffa da parte di un personaggio che nei colloqui registrati ha mostrato una specie di fissazione per i controlli nei propri confronti; sapendo di essere il principale bersaglio di un’inchiesta durata anni e che a Roma era da tempo sulle bocche di tanti.
La targa della questura
Il 4 ottobre dello scorso anno, gli investigatori che tenevano sotto osservazione la stazione di servizio di corso Francia — zona nord di Roma, considerata da Carminati una sorta di ufficio — hanno visto arrivare un’Alfa Romeo 156 con una targa risultata intestata alla questura di Roma. Ne sono scesi due uomini, non ancora ufficialmente identificati; presumibilmente due poliziotti che sono stati intercettati mentre parlavano con l’ex estremista nero riciclatosi nelle file della criminalità comune, e oggi accusato di essere a capo di un’associazione mafiosa.
Nel corso della conversazione uno dei due dice a Carminati: «Perché adesso, te stai sotto indagine…». E l’altro: «Oppure, per dire, che devi… devi evita’… devi evitare». Commento dell’interessato: «È un casino…». Poi la conversazione prosegue sui burrascosi trascorsi di Carminati, quando era «un pischello», un soldato della destra sovversiva che combatteva lo Stato, e lui conclude: «Adesso so’ un vecchietto…». Uno dei due interlocutori gli chiede se è vero che sparò a un poliziotto, e quando Carminati conferma si lascia andare: «Però so’ affascinato…». L’ex «pischello» rivendica: «quella è la storia nostra… hai capito? Erano altri tempi», e l’altro, sempre più rapito dai ricordi del guerrigliero tramutatosi in bandito, confessa: «Io starei due giorni a sentirti…». Anche perché «non sei stato un santo, però manco sei stato…». E salutando dice: «Massime’, è sempre un piacere».
Massimetto la guardia
Un rapporto cordiale, come quello con un altro agente di polizia soprannominato «Massimetto la guardia» il quale — riassumono i magistrati — «si rendeva spesso disponibile al reperimento di materiale elettronico di consumo e di piccoli elettrodomestici, che spesso venivano consegnati alla stazione di rifornimento». Un anno fa di questi tempi, dopo aver trattato con «Massimetto», Carminati riferiva a un presunto complice «di avere la possibilità di ordinare 10 iPad e 10 iPhone, da usare per dei regali di Natale ad alcuni dirigenti comunali compiacenti».
Le segnalazioni di possibili arresti ai suoi danni, in quello stesso periodo, portarono qualche amico a fargli sapere che era meglio restare in Inghilterra dov’era andato a trovare il figlio, ma lui volle rientrare per rendersi conto di quel che stava succedendo, come riferisce il suo «socio occulto» Buzzi in una telefonata: «È dovuto rientrare di corsa perché sembrava che lo dovevano arresta’… per la storia delle bische clandestine, che lui non c’entra niente». Allora preferì affrontare direttamente il rischio, che evidentemente riteneva basso; a maggio scorso, invece, sempre Buzzi racconta che «Massimo s’è fatto già la tomba… poveraccio… Lui è sicuro che lo arrestano… il pubblico ministero ha fatto la richiesta per l’arresto di settanta persone e tra le settanta c’è pure lui… l’hanno avvisato…. però… non si vuole fa’ trova’ a casa».
Le bonifiche
Una riprova dell’attenzione quasi maniacale ad evitare le intercettazioni (senza riuscirci) sono le ripetute «bonifiche» ordinate nei luoghi in cui sospettava ci fossero microspie: dallo studio dell’avvocato Pierpaolo Dell’Anno (dove la cimice fu effettivamente scoperta e lasciata al suo posto per non mettere in guardia gli investigatori che ne avevano piazzata un’altra nel corridoio, grazie alla quale registrarono tutto), all’utilizzo nell’ufficio di Buzzi del jammer, il «disturbatore di frequenze» che doveva impedire eventuali intercettazioni. «Intanto ti porto un coso… un jammer… — diceva Carminati all’amico —. Lo mettiamo qua lo attacchiamo così quando uno è… lo accende e vediamo… qui i telefonini pure se son accesi…». Perfino un furto perpetrato nella sede di un altro ufficio frequentato dagli indagati fa temere al presunto boss un pretesto per nascondere microfoni: « Faglie fa’ una bella bonifica… guarda dentro le cose, dentro tutte le placche… faglie smonta’ le plastiche».
Per i cellulari il presunto boss aveva predisposto schede «dedicate», un numero riservato per ogni interlocutore, in modo da ridurre al minimo il pericolo di farsi registrare. E temeva microspie anche in macchina lanciandosi nella ricerca nei posti più nascosti della vettura: «Devi smontare là sotto e guardare — spiegava a un amico coinvolto nell’indagine —. Mandi la cosa…. poi quando lo voi… me lo dici… annamo dall’amicuccio mio…». E si lamentava di dover fare i conti con tutte queste precauzioni: «È pazzesca ’sta cosa, sta diventando un brutto vivere qua…».

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