Il garante Alesse: scioperi a livello patologico Ora il governo deve tornare a mediare

Il garante Alesse: scioperi a livello patologico Ora il governo deve tornare a mediare

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«In questa Italia da tempo nessuno media più. Ma il conflitto collettivo di lavoro nei servizi pubblici essenziali ha assunto ormai un connotato patologico che impone l’assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni. Negare loro interlocuzione è rischioso in tempi di crisi. Se ai sindacati che scioperano va applicata rigorosamente la legge perché l’Italia non può paralizzarsi, al governo va l’appello affinché incentivi le sedi del dialogo, perché è inimmaginabile che la ragione stia sempre solo da una parte».
Il presidente della Autorità di garanzia per gli scioperi, Roberto Alesse, è preoccupato. Sotto le sue finestre in piazza del Gesù, nella ex sede storica della Dc, qualche giorno fa polizia e manifestanti si sono scontrati.
L’ennesimo conflitto irrisolto.
«Nel 2014 la conflittualità nei servizi pubblici essenziali rimane tendenzialmente alta: siamo lontani dal realizzarsi di condizioni che ne rimuovano le cause».
Quanti scioperi?
«Al primo dicembre 1.299 effettuati rispetto ai 1.279 di tutto il 2013. In questo scenario che risente della crisi che ha effetti recessivi nel settore pubblico e privato, l’Autorità è chiamata a svolgere un ulteriore ruolo laddove sussistano i presupposti: il raffreddamento delle controversie per evitare lo sciopero».
E ci riesce?
«Ci proviamo per le tante vertenze aperte che indicano che il Paese è scivolato lungo un crinale di sistematica inefficienza anche per la progressiva riduzione di stanziamenti per i servizi pubblici».
La situazione in servizi come i rifiuti, è difficile.
«Il settore è quasi al collasso perché accanto a fenomeni di mala amministrazione registriamo addirittura spesso mancanza di fondi pubblici a copertura delle gare di appalto. Così le imprese erogatrici non pagano gli stipendi già molto bassi».
Dalle inchieste emerge che spesso questi soldi circolano, ma lungo altri canali. Voi cosa fate in questi casi?
«Sanzioniamo per legge le aziende che erogano i servizi pubblici essenziali che si rendano responsabili dell’insorgenza o dell’aggravamento dei conflitti. Spesso accade nel Trasporto pubblico locale, dove sovente viene messo a rischio l’approvvigionamento di carburante e la manutenzione dei mezzi, con effetti sulla sicurezza del personale».
E dei cittadini. Ma denunciate queste aziende?
«Inviamo tutto alla Corte dei Conti e collaboriamo con l’Autorità anticorruzione».
Ma il problema andrebbe risolto a monte.
«Urge un radicale cambiamento di mentalità: è necessario per prima cosa sconfiggere il cancro del parossismo normativo. E poi serve una programmazione razionale dei servizi pubblici secondo il principio costituzionale dell’adeguatezza».
Cioè?
«Non è più possibile che ogni Comune, anche con pochi abitanti, proceda da solo a gestirli e sostenerne la spesa. Serve una forte riorganizzazione della macchina pubblica».
Il governo ha promesso di metterci mano.
«Sì, ma ci vuole maggiore buon senso. L’Italia degli ultimi anni fatica a abbandonare la logica schmittiana “amicus-inimicus” di totale contrapposizione in base alla quale c’è gente, non solo del ceto politico, che si sente legittimata a esistere solo se individua un nemico. Triste e pericoloso perché reca con sè la negazione del dialogo come capacità di ascolto e mediazione di interessi contrapposti».
Sta dicendo che bisogna tornare alla concertazione?
«Lo dico in modo non retorico, non pensando cioè a riti stantii e non propositivi. Ma il metodo finalizzato a trovare sull’onda dell’emergenza soluzioni ragionevoli e condivise lo dobbiamo rilanciare in fretta. Persino le istituzioni tendono a non dialogare più tra loro per risolvere i problemi, dimostrando così di essere talvolta troppo pavide e talvolta troppo autoreferenziali».
Una denuncia molto grave.
«Per certi versi oggi stiamo vivendo una fase di anarchia istituzionale. Potrei fare tanti esempi di collaborazione istituzionale negata per la materia che mi compete».
C’è invece mette in discussione il diritto di sciopero.
«Scioperare è un diritto costituzionale che non va compresso oltre misura perché serve anche a neutralizzare iniziative che rischierebbero di scivolare sul terreno dell’illegalità».
Lei chiama il governo al dialogo, ma i sindacati?
«Ho avuto la sensazione che sarebbero propensi a un passo indietro in termini di minori garanzie pur di fare accordi. Si faccia uno sforzo comune».
La Cgil vi ha chiesto un incontro sullo sciopero generale del 12 dicembre?
«Sì, ma noi abbiamo già detto quello che avevamo da dire».



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