Ilva, il governo vuole dare pieni poteri al commissario e punta ai fondi della Bei

Ilva, il governo vuole dare pieni poteri al commissario e punta ai fondi della Bei

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ROMA .Niente decreto Ilva, almeno per il momento, ma il piano d’intervento del governo sulle acciaierie di Taranto va avanti. Il Consiglio dei ministri di ieri sera non ha legiferato riguardo ai passaggi da fare per permettere che il polo siderurgico sia messo in amministrazione straordinaria. Ma l’operazione — che richiede anche per Taranto l’applicazione della legge Marzano — potrebbe avvenire utilizzando il canale di un emendamento alla legge di Stabilità durante il passaggio al Senato. Una volta nominato l’amministratore straordinario, si aprirà poi la partita sul futuro dell’Ilva, quella annunciata dal premier Renzi in una intervista a Repubblica : valutare la possibilità di rimettere in sesto il polo per poi venderlo sul mercato.

Le condizioni per vendere oggi non ci sono: sia perché il polo non è in amministrazione straordinaria, sia perché le due offerte non vincolanti presentate dagli anglo indiani Arcelor — Mittal e dal gruppo Arvedi pongono condizioni che il governo considera non accettabili.
Oltre alla cessione, c’è sul tavolo anche l’ipotesi di una separazione fra una bad company, dove far affluire le tante questioni giudiziarie e le passività, ed una new company pronta a ripartite grazie anche a un intervento della Cassa depositi e prestiti che, attraverso il Fondo strategico, può intervenire solo su imprese in stabile equilibrio economico e finanziario. Prima di tutto ciò, vanno comunque affrontati i costi del risanamento (solo per quello ambientale 1,8 miliardi).
A tale proposito il governo starebbe valutando la possibilità di utilizzare i fondi della Bei, la Banca europea per gli investimenti. Ma almeno tre dei programmi dal valore complessivo di 40 miliardi presentati dall’Italia nell’ambito del piano Juncker lascerebbero intendere interventi su Taranto: il piano ambientale da 1,6 miliardi che, fra altri siti, farebbe riferimento anche all’Ilva; quello per l’efficienza energetica da 670 milioni e quello sul trattamento delle acque reflue da 160 milioni.
Sul tavolo, oltre alla grave questione ambientale, c’è l’occupazione di 12 mila dipendenti, ecco perché ieri i sindacati metalmeccanici Fim, Fiom e Uilm hanno chiesto un incontro urgente con il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi e con il commissario dell’Ilva Piero Gnudi. L’idea di un intervento pubblico piace a Susanna Camusso, leader della Cgil: «Siamo sempre stati fautori del fatto che in settori strategici dell’economia, se non si trovano imprenditori privati disposti a intervenire, ben venga il pubblico», ha detto.
«Penso sia una strada utile, ma bisogna vederla concretamente perché l’Ilva è un complesso progetto di recupero ambientale oltre che di rilancio industriale. Almeno su questo Renzi ci ha ascoltato». Più discusso il tema di una possibile divisione in bad e new company: «Dolori, vite perdute di Taranto, controversie giudiziarie, risarcimenti e bonifiche non possono essere confinate nella bad company dell’Ilva. Nessuno paghererebbe per il disastro», ha commentato il leader dei Verdi Angelo Bonelli.


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