Kenya, strage di operai cristiani È caccia ai lavoratori «infedeli»
Dormivano per terra, sotto tende di fortuna. Teloni arancioni fissati al suolo dai sassi. L’una di notte, gli spari in aria, il risveglio improvviso. Il sopravvissuto Peter Nderitu racconta alla Reuters di essersi salvato buttandosi in una buca, mentre i suoi compagni cavapietre venivano interrogati. Sdraiati su due file, fuori dalle tende, domanda secca che vale la vita: recitare la Shahada, la professione di fede islamica. Chi non la sa, un colpo alla nuca. Trentasei cadaveri nel vento del mattino, maglie colorate, uomini, ragazzi, chi con le scarpe, chi a piedi nudi. Almeno due decapitati, in quella che sarà ricordata, e probabilmente dimenticata, come la strage della cava di pietra. Una piccola miniera artigianale a cielo aperto, senza guardie, di proprietà di un musulmano (come la maggioranza degli abitanti del Nord-Est del Kenya, di etnia somala). Le vittime venivano da lontano, distretto di Nyeri, dove si gode un’ottima vista sul monte Kenya ora disertato dai turisti.
Con i centri turistici del Sud più presidiati (o già deserti), con la difficoltà di replicare raid come quello del 2012 allo shopping center di Nairobi frequentato da stranieri e gente abbiente, i miliziani di Al Shabaab («I giovani») prendono di mira gli operai e la piccola borghesia della cultura, i cavapietre e gli insegnanti, tutti «infedeli» venuti da fuori. Perché sono «soft target», obiettivi facili, e perché colpirli significa soffiare sulle divisioni etnico-religiose, promuovere guerre tra poveri. La pancia piena, l’auto e magari l’appartamento in città non conciliano meglio con l’ecumenismo?
Dall’altra parte del continente, in Nigeria, Boko Haram adotta una strategia simile, pur con un ventaglio più ampio di obiettivi (preferibilmente civili). Nella logica del gruppo (il cui nome significa «vietata l’educazione occidentale») scuole e studenti sono un bersaglio per così dire «obbligatorio». Ma come spiegare il massacro di 48 pescivendoli dieci giorni fa a Doron Daga, estrema punta nord-est del Paese? Li hanno bloccati mentre andavano a comprare il pesce sul Lago Chad: alcuni sgozzati, altri affogati con mani e piedi legati. Non un caso isolato: gli attacchi hanno distrutto il mercato ittico in quel pezzo di Africa. Per Boko Haram colpire 48 pescivendoli serve a gettare la rete della paura, costringere la gente alla fuga o a passare sotto la propria «protezione». Colpire gli immigrati, o le minoranze, non rischia di alienare la maggioranza locale, anzi. In Iraq l’Isis ha adottato questa strategia per esempio cooptando i sunniti contro i vicini di casa Yazidi, oppure a Mosul l’estate scorsa sequestrando 40 muratori indiani e uccidendoli il giorno dopo: quaranta nuovi posti di lavoro. Dieci anni fa i precursori dell’Isis massacravano i disoccupati sunniti: una delle stragi più sanguinose nel 2005 in una piazza di Bagdad, quartiere sciita: un’autobomba uccise oltre 80 manovali che all’alba aspettavano un finestrino abbassato e l’offerta di un lavoro a giornata. Manovali, pescivendoli, spaccapietre: non valgono un riscatto e non hanno la scorta.
Michele Farina
Related Articles
PRIMA PIROMANI, POI POMPIERI
Deciso «d’urgenza», per «combattere il terrorismo», l’intervento francese in Mali ha il sapore delle cose già viste. Torna in mente soprattutto l’Afghanistan e il discorso brandito dal presidente George Bush con il ben noto successo, visto che le truppe occidentali si ritirano oggi penosamente da quel paese.
Ma Merkel è in rotta con il suo ministro e cerca l’accordo
Col Bundestag chiamato a votare su ogni nuovo pacchetto d’aiuti al paese ellenico, Merkel rischia la sua prima grave sconfitta interna ed europea in dieci anni di potere incontrastato
La sfida di Hollande il guerriero francese che è rimasto senza la Francia
Mentre Angela Merkel può puntare a un quarto cancellierato, François difficilmente potrà ricandidarsi nel 2017: il suo consenso è ai minimi e la disoccupazione al 10 percento