Metodologie di resistenza al potere

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Potreb­bero essere rubri­cate alla voce «auto­co­scienza disci­pli­nare» di un ipo­te­tico dizio­na­rio di socio­lo­gia le sei lezioni che Luc Bol­tan­ski rac­co­glie in Della cri­tica. Com­pen­dio di socio­lo­gia dell’emancipazione (pp. 240, euro 22), recen­te­mente pub­bli­cate da Rosenberg&Sellier, per la tra­du­zione di Fran­ce­sco Peri. Si tratta delle con­fe­renze tenute nel 2008 dal socio­logo fran­cese nell’ambito delle pre­sti­giose Frank­fur­ter Adorno-Vorlesungen. E, in ragione di ciò, al let­tore non potrà sfug­gire il carat­tere semi­na­riale che emerge dall’esposizione, nel corso della quale Bol­tan­ski riserva, tut­ta­via, un’attenzione pun­tuale ai det­ta­gli, alla resti­tu­zione di cia­scuna piega argomentativa.

Le lezioni si pon­gono alla stre­gua di una rifles­sione meto­do­lo­gica sull’idea di cri­tica: dal rap­porto fra socio­lo­gia e cri­tica sociale fino alla neces­sità, nel tempo pre­sente, di una teo­ria cri­tica capace di enu­cleare stra­te­gie di resi­stenza alle diverse forme di domi­na­zione. Si può dun­que rico­no­scere una dop­pia valenza al discorso di Bol­tan­ski: da un lato, le lezioni inter­ro­gano nel pro­fondo la strut­tura del discorso cri­tico e la sua rela­zione con l’integrità disci­pli­nare della socio­lo­gia, cui si lega un’interessante rifles­sione sulle fina­lità poli­ti­che e imma­nenti della scienza sociale; dall’altro, il socio­logo fran­cese cerca di rias­su­mere le ragioni di un allon­ta­na­mento dalla «socio­lo­gia cri­tica» di Pierre Bour­dieu, nella dire­zione di un para­digma di pen­siero dif­fe­rente, ispi­rato varia­mente al prag­ma­ti­smo. «Noi tene­vamo – sostiene Bol­tan­ski, sin­te­tiz­zando la presa di posi­zione nei con­fronti dell’approccio bour­dieu­siano – a con­ser­vare, se non addi­rit­tura a con­so­li­dare l’ancoraggio della cri­tica in una socio­lo­gia empi­rica rigo­rosa, (…) ma per farlo biso­gnava descri­vere in modo più esatto l’agire degli attori in situa­zione». E per orien­tarsi verso un’attenzione spic­cata all’immanenza dei fatti sociali, la socio­lo­gia prag­ma­tica ambiva a dar rilievo alla spe­ci­fi­cità rigo­rosa delle situa­zioni stu­diate, disan­co­ran­dosi dalla sup­po­sta insta­bi­lità delle teo­rie o di quei «dispo­si­tivi espli­ca­tivi» pas­si­bili di un uti­lizzo fin troppo mec­ca­nico. Tale cor­ret­tivo prag­ma­ti­sta alla socio­lo­gia cri­tica «è con­si­stito nel ride­fi­nire l’orientamento cri­tico nel senso della ricerca di una descri­zione più esatta, a ulte­riore riprova del carat­tere insta­bile dei costrutti socio­lo­gici che met­tono al primo posto il pro­blema della cri­tica, se non forse della socio­lo­gia in gene­rale, per­vasa da una ten­sione interna tra esi­genze descrit­tive e orien­ta­menti normativi».

Sono que­ste forse le pagine più inte­res­santi del libro, per­ché offrono uno spac­cato dello scarto tra Bol­tan­ski e la «scuola» di Bour­dieu e resti­tui­scono le moda­lità di auto-collocamento di un approc­cio disci­pli­nare entro i con­fini di un para­digma – che poi sem­bra essere pro­prio l’oggetto di rifles­sione dell’autore, nel senso, appunto, di un’autocoscienza del pro­prio porsi nel discorso della teo­ria. Forse meno inci­sive appa­iono le pagine dedi­cate alla neces­sità della cri­tica nel tempo pre­sente, lad­dove il ragio­na­mento di Bol­tan­ski sul carat­tere «gestio­nale» delle forme di domi­nio non ha il respiro ampio e per­va­sivo cui il socio­logo ci ha abi­tuati in altri con­te­sti. Solo fuga­ce­mente Bol­tan­ski dedica atten­zione alle forme repres­sive messe in atto dal capi­ta­li­smo attra­verso un’inesausta pra­tica di dis­si­mu­la­zione del domi­nio, cui si leghe­rebbe un effetto di nega­zione della realtà e delle con­trad­di­zioni, che, tut­ta­via, nel libro, non viene a suf­fi­cienza argomentato.

In altri ter­mini, a chi scrive non sem­bra meglio giu­sti­fi­cato, nell’esposizione, quel rap­porto dia­lo­gico tra cri­tica e isti­tu­zioni da sca­tu­ri­rebbe, per con­trad­di­zione erme­neu­tica, l’esistenza stessa di un discorso cri­tico, che in Bol­tan­ski appare indi­riz­zato verso una map­pa­tura teo­rica dell’emancipazione pos­si­bile. Eman­ci­pa­zione che, ritiene il socio­logo, può darsi solo attra­verso il poten­zia­mento del ruolo della cri­tica e dell’opposizione, capaci di garan­tire un’identificazione pre­cisa dei pro­cessi di sfrut­ta­mento: resta però da capire, fuori da un discorso pre­li­mi­nare, quali stra­te­gie con­crete con­cor­rano al raf­for­za­mento di tale alter­na­tiva e alla lotta con­tro l’assoggettamento, al di là di un valido e cor­retto approc­cio meto­do­lo­gico al pro­blema, che resta ovvia­mente necessario.



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