La mossa di Renzi. Incontro con Prodi

by redazione | 16 Dicembre 2014 8:38

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ROMA Quasi due ore di incontro tra il fondatore dell’Ulivo Romano Prodi e il premier Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Ufficialmente per «un giro di orizzonte sulle questioni della politica internazionale, con riferimento alla situazione in Libia e in Ucraina, e una riflessione sull’economia europea». Ma è ovvio che il significato del colloquio va molto al di là ed entra in pieno nel dibattito che si è scatenato dentro il Partito democratico. Con il segretario che, domenica, ha ridimensionato la storia «mitologica» e il «santino» dell’Ulivo. Parole che hanno innervosito in parecchi nella minoranza e che ora riecheggiano nella reazione di uno dei grandi assenti all’assemblea, Pier Luigi Bersani.
Ma non sfugge a nessuno come il nome di Prodi sia tornato a circolare, suggerito da alcuni esponenti della minoranza del Pd (ieri da Stefano Fassina), come possibile candidato al Quirinale (dopo lo scacco dei 101 franchi tiratori del 2013).
E proprio del Colle parla il ministro Maria Elena Boschi, che dà una notizia sul metodo che sarà seguito per trovare il successore di Giorgio Napolitano: «Il Pd sceglierà un nome al proprio interno, che poi presenterà agli altri». Da Porta a Porta , il ministro spiega che «nel patto del Nazareno non c’era nessun’altra clausola presumibile nascosta sull’elezione del nuovo capo dello Stato. Se ci saranno le condizioni per avere un accordo con Forza Italia lo faremo, se non ci saranno faremo un accordo con altre forze presenti in Parlamento». Quanto a Prodi, dice la Boschi, «io l’ho votato, ma non va tirato per la giacchetta».
L’incontro a Palazzo Chigi, al quale partecipa il sottosegretario Graziano Delrio, arriva all’indomani della fragile tregua siglata nell’assemblea del Pd tra la segreteria e la minoranza. E proprio mentre infuria la polemica sull’eredità dell’Ulivo.
Sulla questione interviene anche Bersani che si toglie qualche sassolino dalla scarpa. Prima risponde a muso duro a Renzi, che chiede «lealtà»: «Sento prediche sulla lealtà. Ma non da tutti i pulpiti si possono accettare prediche». Poi arriva alla questione dell’eredità: «Siamo tutti figli dell’Ulivo, anche Renzi». Il quale aveva spiegato che «si sono persi 20 anni» dopo l’avvento dell’Ulivo. A chi gli chiede se il nome di Prodi potrebbe farcela nella partita del Quirinale, Bersani risponde così: «Non lo chieda a me, mi sono dimesso perché hanno fatto fuori Prodi». La vicenda dei 101 franchi tiratori (tra i quali furono additati anche i renziani, che smentirono) fa ancora male: «A Renzi — dice Bersani — auguro di avere molti Bersani in giro». Contrapposizione che la dice lunga sullo stato d’animo dell’ex segretario del Pd. Il quale non nasconde le differenze politiche, nonostante «in questi giorni si sia fatto uno psicodramma». Non che Bersani sia tentato di lasciare: «Il Pd è casa mia e ci vogliono i carabinieri a buttarmi fuori». Ma questo non vuol dire che non punti i piedi per avere «un partito di sinistra»: «Renzi ha un’idea larga di sinistra, io vorrei un profilo più netto».
La partita si gioca sul passato (Renzi all’assemblea aveva detto: «Talvolta ci scagliamo addosso delle pagine di storia»), ma soprattutto sul futuro. Bersani ripete che «nei Paesi democratici le Costituzioni non le fa l’esecutivo». E sottolinea che l’Ulivo approvò il Mattarellum, «meglio del Porcellum e un filino meglio dell’Italicum». Precisazione evidentemente non rivolta soltanto al passato.
La minoranza plaude all’incontro con Prodi, ma resta sul chi vive. E Pippo Civati, unico per ora a esporsi, conferma la sua intenzione di non candidarsi con il Pd, nel caso di urne in primavera.
Alessandro Trocino
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