Il « Mullah Radio » e i guerriglieri dei monti La rete che gli Usa non riescono a fermare

by redazione | 17 Dicembre 2014 9:45

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KABUL L’uomo con barba e turbante che ha rivendicato la strage di ieri è Maulavi Fazlullah, il « Mullah Radio», terzo leader dei Talebani pachistani. I primi due sono stati uccisi da droni americani. Fino a ieri era famoso per gli appelli incendiari via etere durante gli scontri nella Valle di Swat, per aver ordinato la spedizione punitiva contro Malala, la bimba ora premio Nobel, e per nascondere il dottor Zawahiri, nuovo numero uno di Al Qaeda. E’ un quarantenne che per uccidere fa la strada opposta dei Talebani afghani.
I guerriglieri del Mullah Omar colpiscono in Afghanistan e si addestrano e rifugiano in Pakistan. Gli assassini del «Mullah Radio» si nascondono nelle regioni afghane del Nuristan o di Kunar e uccidono in Pakistan. Se riuscissero ad imporre un emirato dalla lapidazione facile e le donne invisibili i due gruppi talebani andrebbero d’accordo, pronti anche ad unirsi alle bandiere nere dello Stato Islamico di Iraq e Siria pur di liberare Gerusalemme e conquistare Roma. Ma fino a quel momento rispondono a logiche e finanziatori diversi. I talebani afghani hanno criticato l’eccidio di Peshawar: «L’emirato islamico è scioccato». La storia di questi gruppi è un esempio della miopia di tanta politica recente.
Quando, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, il Mullah Omar rifiutò di consegnare Osama Bin Laden agli Stati Uniti, c’erano circa diecimila pachistani nell’esercito talebano. Gli afghani erano poco più numerosi, ma rispetto agli altri stranieri della legione jihadista (ceceni, uzbeki, yemeniti e sauditi) i pachistani parlavano la stessa lingua dei padroni di Kabul, il pashtun, e rispettavano lo stesso codice tribale, il pashtunwali. Solo il passaporto era diverso, per il resto si sentivano fratelli. I pashtun pachistani avevano accolto nelle loro terre milioni di afghani in fuga dall’invasione sovietica e diviso con loro le uniche scuole disponibili, le madrasse allestite dai petrodollari del Golfo con la benedizione di Washington. Le bombe Usa del 2001 sciolgono l’emirato afghano, i talebani di ogni nazionalità si disperdono. Chi può torna a casa. L’emiro dei credenti, il Mullah Omar scappa a Quetta, la città pachistana più vicina alla sua Kandahar. I pachistani sui monti del Waziristan, dove l’autorità di Islamabad non è mai arrivata. Tutti però continuano a combattere gli «infedeli invasori» con incursioni in Afghanistan. Nel 2006 la svolta. Baitullah Mehsud fonda «Tehereek-e-Taliban», i Talebani pachistani. Ha combattuto per il Mullah Omar, è stato nominato governatore dallo stesso emiro, ma è anche leader della più grande tribù del Waziristan e punta a Islamabad. E’ sua la mano che uccide Benazir Bhutto, candidata a guidare il Pakistan. L’ambizione cresce anche grazie a ciò che significa ospitare il leader di Al Qaeda in termini di finanziamenti e contatti. I droni Usa colpiscono, ma ogni morto viene sostituito da uno ancora più sanguinario. Da 13 mesi c’è Maulana Fazlullah.
Si dice che esista un circolo di mutua distruzione. Gli Usa finanziano il Pakistan che però appoggia i Talebani afghani per attaccare l’Afghanistan filo americano. Il cerchio si chiude con Kabul che, con soldi Usa, sponsorizza i Talebani pachistani perché attacchino Islamabad. Qualche indizio dice che le cose stanno cambiando e l’attentato di ieri è uno di questi. Il nuovo governo afghano di Ashraf Ghani potrebbe rinnegare l’indicibile alleanza. Il premier pachistano Nawaz Sharif ha finalmente coordinato le sue offensive militari con i droni Usa e sta avendo risultati. L’attacco ai figli dei soldati è una vendetta contro queste manovre. Se i dollari smetteranno di circolare per uccidere, forse la pace avrà una chance.
Andrea Nicastro
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