Il pugno di Erdogan sui media Retata di giornalisti «critici»

Il pugno di Erdogan sui media Retata di giornalisti «critici»

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La faida tra il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, e il suo arcinemico, il teologo musulmano Fethullah Gülen, che dal 1999 vive in esilio volontario negli Stati Uniti, si arricchisce di un nuovo capitolo. Ieri mattina all’alba è scattata una retata per colpire gli uomini del predicatore, accusato dall’Akp, il partito filoislamico al governo dal 2002, di aver creato una sorta di Stato parallelo per rovesciare l’esecutivo. La polizia ha agito in 13 città turche e in carcere sono finite 24 persone tra cui molti giornalisti e due capi di polizia ma i mandati di cattura sarebbero 32. Per tutti l’accusa è di «aver messo in piedi un gruppo terrorista».
L’arresto più eclatante è stato compiuto ad Istanbul: Ekrem Dumanli, il direttore del quotidiano Zaman , di proprietà di Gülen e tra i più letti nel Paese, è stato portato via dagli agenti sotto gli occhi allibiti della redazione mentre fuori la folla mostrava cartelli con su scritto: «Giù le mani dalla libertà di stampa». Dumanli ha invitato i suoi giornalisti a non avere paura: «Lasciamo che ad essere spaventati siano quelli che hanno commesso un crimine».
In carcere sono finiti anche Tufan Urguder, ex capo dell’antiterrorismo di Istanbul, e Hidayet Karaca, direttore della tv gülenista Samanyolu . «È un momento vergognoso per la Turchia, è questo il trattamento che viene riservato a un gruppo che ha decine di televisioni e stazioni radio, siti web e riviste» ha detto Karaca.
La guerra tra Erdogan e Gülen era iniziata il 17 dicembre del 2013 quando una maxi inchiesta giudiziaria aveva toccato pesantemente il cerchio magico dell’allora premier turco, accusato di aver messo in piedi un perverso sistema di tangenti. Tre ministri erano stati costretti a dimettersi e lo stesso figlio di Erdogan, Bilal, era stato interrogato. Il sultano di Ankara aveva gridato al complotto ordito dal suo ex amico, anche se Gülen si è sempre dichiarato estraneo ai fatti. In pochi giorni erano stati rimossi 200 magistrati, 7 mila dirigenti e funzionari della pubblica sicurezza. L’Akp aveva anche varato una riforma della Giustizia per mettere sotto controllo l’Hsyk, il Supremo Consiglio dei Giudici e dei Procuratori, e una legge che consente tutt’oggi al governo di chiudere in sole 4 ore un sito o una pagina web senza l’autorizzazione di un giudice. Tuttavia lo scandalo non aveva, come molti invece si aspettavano, intaccato la popolarità dell’allora premier che aveva vinto le elezioni amministrative tenute a fine marzo del 2014 e poi le presidenziali dello scorso agosto.
Evidentemente, però, Erdogan non aveva finito il lavoro di «pulizia». La vendetta, si dice, è un piatto che si serve freddo. E chissà che i prossimi giorni non debbano riservarci altri colpi di scena. Fuat Avni, l’anonimo utente di Twitter che ha anticipato la notizia della retata, scrive che in cima alla lista dei mandati di cattura ci sarebbe proprio Fethullah Gülen. Un’ipotesi che potrebbe non essere campata in aria. A marzo Ankara aveva revocato al leader del movimento Hizmet il passaporto verde che viene concesso a persone di alto rango. E lo scorso aprile lo stesso Erdogan aveva annunciato: «Avvieremo l’iter per l’estradizione». Ma per farlo il predicatore islamico dovrebbe prima essere messo sotto processo.
Di certo l’operazione di ieri rappresenta l’ennesimo passo indietro per la libertà di espressione. Ieri l’associazione dei giornalisti turchi (Tgc) e il sindacato dei giornalisti (Tgs) hanno condannato gli arresti: «In passato sono stati 200 i giornalisti finiti in prigione con l’accusa di terrorismo. Oggi si ricomincia». «Questo è un colpo di Stato contro la democrazia» ha commentato Kemal Kilicdaroglu, leader del Chp, il più grande partito di opposizione. Dall’Europa si sono fatti sentire l’Alto Rappresentante per la politica estera Ue Federica Mogherini e il commissario alla politica di vicinato Johannes Hahn che, in una nota, hanno giudicato gli arresti «incompatibili con la libertà di stampa, che è il fondamento della democrazia» e «contro i valori europei». Duro anche il Dipartimento di Stato americano che ha invitato Ankara «ad assicurare libertà di stampa, processi giusti e un sistema giudiziario indipendente».
Monica Ricci Sargentini


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