Le sanzioni mandano la Russia in recessione

by redazione | 3 Dicembre 2014 12:21

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MOSCA La notizia più sorprendente è senz’altro la decisione della Procura russa di chiedere chiarimenti alla Banca centrale per la caduta del rublo. È vero che dietro c’è la richiesta esplicita di un deputato che bolla l’istituto di emissione come «nemico istituzionale del Paese», al soldo degli stranieri. Ma un’indagine che coinvolge la presidente della Banca Elvira Nabiullina, legata a doppio filo a Vladimir Putin, è un segno del nervosismo che regna in Russia di fronte alle difficoltà economiche. Che sono provocate dal calo del prezzo del petrolio ma anche delle sanzioni varate dall’Occidente.

Anche l’annuncio del presidente di voler rinunciare al gasdotto South Stream è forse un segno dello stesso nervosismo, visto che finora non ci sono le condizioni oggettive per abbandonare il progetto. Anzi, in questo momento ci sono solo certezze su quale sarebbe il danno per Mosca. Intanto il pagamento di salatissime penali visto che tutte le aziende impegnate hanno firmato contratti di ferro, a cominciare dalla nostra Saipem che ieri ha perso in borsa il 10,8 per cento. In un momento di bassa domanda di gas e petrolio (a novembre Gazprom ha consegnato il 25% di gas in meno all’Europa), l’azienda controllata dall’Eni avrà difficoltà a trovare altri clienti se i lavori si dovessero fermare. Per l’anno prossimo, calcoli interni stimano in 1,25 miliardi di euro il fatturato Saipem imputabile al progetto South Stream. Secondo la società di ricerche Sanford C. Bernstein, sul margine operativo lordo l’azienda perderebbe tra i 130 e i 210 milioni di euro.
Aleksej Miller, capo di Gazprom, ha subito annunciato un progetto alternativo per raddoppiare il gasdotto che già arriva in Turchia e portare altri 63 miliardi di metri cubi di gas l’anno. Ma è un piano che comunque non risolverebbe i problemi del colosso del gas prima di diversi anni.
Per quanto riguarda l’Italia, il premier Matteo Renzi ha detto che la cancellazione di South Stream non «è motivo di preoccupazione immediata». Per il premier, i rapporti con l’Est sono importanti, ma ancora di più lo sono quelli con il Sud. Vale a dire con i Paesi produttori del Nord Africa. Ufficialmente, comunque, South Stream non è morto.
Non è invece escluso che la situazione economica di Mosca peggiori ulteriormente. Ieri il segretario di Stato americano John Kerry ha fatto sapere che parlerà con gli alleati europei di nuove sanzioni da imporre se l’atteggiamento russo non cambierà. Quelle attuali, ha poi detto il Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, sono efficaci «perché hanno un impatto». Col petrolio ai minimi e il blocco ai trasferimenti di tecnologia sensibile e di finanziamenti, la Russia sta per finire in recessione (meno 0,8% nel 2015). La svalutazione del rublo consente al governo di spendere di meno in stipendi e servizi interni (paga in rubli e incassa in dollari dalla vendita di petrolio e gas), ma fa salire l’inflazione che è già oltre l’8 per cento.
Putin a un certo punto dovrà prendere una decisione cruciale. Se concederà aumenti per compensare la perdita di valore dei salari e delle pensioni, conserverà la pace sociale e rimarrà popolare. Ma gli aumenti potranno innescare una spirale inflazionistica assai pericolosa, soprattutto in una fase di recessione. Se invece mantenesse fermi salari e pensioni, lo scontento crescerebbe e questo forse ridarebbe fiato all’opposizione.
Fabrizio Dragosei
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