Il segreto tra Carminati e l’uomo di Alemanno quella maxi tangente al deputato senza nome

by redazione | 7 Dicembre 2014 9:31

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ROMA . C’è un segreto che ossessiona Massimo Carminati. Che è ancora tale e fa intuire quanto possa ancora camminare l’inchiesta sul Mondo di Mezzo. Ne è custode Riccardo Mancini (ora in carcere), che è stato, insieme, tasca di Alemanno e dello stesso Carminati. E la cui integrità è stata dunque sin qui affidata al suo “silenzio”, alla sua capacità di “tenesse er cecio ar culo”. È «una cosa che non deve assolutamente uscire», dice Carminati nel gennaio 2013, nei giorni in cui Mancini viene travolto dall’inchiesta sulla tangente per la fornitura di filobus della Breda. Perché porta dritto al cuore del Sistema di corruzione politica che tiene insieme l’amministrazione Alemanno, la società Eur spa (di cui Mancini è ad e che distribuisce appalti a Buzzi) e un misterioso «secondo livello». Che porta a un ignoto deputato di cui tutti, nel cerchio stretto di Carminati, sembrano conoscere l’identità, ma il cui nome non viene mai pronunciato o quantomeno intercettato dalle cimici del Ros dei carabinieri.
“SE LA FA SOTTO”
La faccenda è così seria che Carminati si muove fulmineo non appena — è il settembre del 2012 — Riccardo Mancini viene perquisito dal pm Paolo Ielo che indaga sulla tangente da 700mila euro che la Breda-Menarini (gruppo Finmeccanica) ha versato per la fornitura di 45 filobus al Comune di Roma. “Er ciccione” può essere l’anello debole della catena. Dunque, va imbarcato. Ridotto a scimmietta che non sa, non vede, non parla. Soprattutto, gli va messo accanto un avvocato che metta il naso nelle carte dell’inchiesta Breda e concordi con Carminati come difendersi, cosa dire e, soprattutto, cosa tacere. L’avvocato di Mancini, Moneta Caglio («Quello non capisce un cazzo », sentenzia Carminati), viene dunque sostituito da Pierpaolo Dell’Anno (ora indagato). Che, del resto, ha già dato ottima prova di sé difendendo qualche anno prima e “senza danni” Fabrizio Testa — altro uomo chiave di Carminati nei suoi traffici con la Politica — facendolo uscire dall’inchiesta Enav (anche quella condotta dal pm Paolo Ielo) con un patteggiamento che non ha messo in difficoltà nessuno.
Sembra che le cose debbano filare lisce. Dell’Anno concorda con Carminati le mosse difensive di Mancini e lo rassicura sulla circostanza che l’indagine Breda non andrà da nessuna parte. Finché — è il gennaio 2013 — non viene arrestato Francesco Ceraudo, l’ad di Breda. Carlo Pucci, braccio destro di Mancini in Eur spa, avvisa Carminati: «Quello (Mancini, ndr) se sta’ a cagà sotto». E ne ottiene l’ennesimo invito alla calma: «Digli di stare tranquillo. Tanto io ho tutto sotto controllo. E se ci fosse qualcosa, prima di chiamare lui, chiamano me».
DOVE SONO FINITI I SOLDI?
In realtà, Carminati non è tranquillo affatto. Anche perché non comprende dove voglia andare a parare il lavoro di Ielo. Ne ragiona con il suo Mario “Marione” Corsi che, anziché preoccuparsi del tifo radiofonico romanista (formalmente il suo mestiere), strologa di come mettere una pezza a una storia di tangenti. «L’hanno fatta più piccola di quanto pensavo sta’ storia — sentenzia Corsi — È risolta, se non se bevono (arrestano, ndr) Mancini». E Carminati: «Penso vogliano danneggiare Alemanno ». Epperò qualcosa non gli torna: «Ma che Riccardo se va’ a sputtana’ per 50, 70mila euro (la somma che ha ammesso con i pm di aver ricevuto da Breda, ndr)? ». Soprattutto, che fine hanno fatto gli altri 650mila euro di tangente? I dubbi di Carminati lo tormentano due volte di più, perché con Mancini ha un patto che prevede la “stecca para” (al 50 per cento) sulle tangenti. E forse non sa o non ha la prova che Alemanno abbia rivendicato in una cena a casa di Lorenzo Cola, facilitatore di Finmeccanica, almeno 200mila euro di quella tangente di cui nulla aveva saputo. «Avranno fatto il solito giochino che fanno questi internamente. Me lo dice pure quel ragazzo di Finmeccanica », conclude.
“SE PARLI DOVE TI NASCONDI?”
Tra gennaio e marzo 2013, le cose si mettono male. Pucci, ancora una volta, avvisa che il suo principale «nun ce stà più col cervello». Può sbracare, insomma. E quindi Carminati decide di passare alle maniere forti. A fine marzo, una settimana prima che Mancini venga arrestato — come racconterà Buzzi ignaro di essere ascoltato dalle cimici — decidono di minacciarlo fisicamente. «Lo semo andati a pija’. Gliamo detto: “O stai zitto e sei riverito, o, se parli… non c’è posto in cui te poi anda’ a nasconde”. Giusto pe’ ricordaje com’è la vita». È un fatto che dopo l’arresto di Mancini, Carminati abbia una priorità. «Alemanno è un buffone — ragiona con i suoi — ma solo uno lo può fottere. Ed è Panzironi. L’importante, adesso è tira’ fuori Riccardo (Mancini, ndr) ». Cosa che avverrà qualche mese dopo, mettendogli a di- sposizione le garanzie ipotecarie su alcuni appartamenti che gli consentiranno di risarcire Breda con 80mila euro e guadagnare i domiciliari.
L’ONOREVOLE
Chi, al contrario, sembra certo di dove siano finiti i 650mila euro della tangente Breda, è ancora una volta Buzzi. Subito dopo l’arresto di Mancini fa in modo che in carcere sia trattato come si deve, e che questo lo aiuti a non crollare. «Gli ho fatto trovare un po’ di calore e amicizia ». Quindi, aggiunge: «I soldi non se li è presi lui. L’ha dati a un deputato. Noi sappiamo a chi l’ha dati. Lo sa tutta Roma a chi l’ha dati». Ma se si “terrà er cecio ar culo” — gli è stato spiegato — non solo conserverà intere le ossa, ma avrà una ricompensa: «Quando uscirà tornerà a cavallo. Tiene botta e poi va a bussa’ pure lui». Il silenzio di Mancini ha funzionato una volta. Ma “a cavallo” non è tornato. È di nuovo a Regina Coeli. Resisterà ancora?
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