Tornano gli « statali fannulloni »

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«Devono esserci le con­di­zioni per man­dare a casa i fan­nul­lon i». Era dai tempi di Renato Bru­netta mini­stro — 2008–2011 — che il bino­mio fannulloni-lavoratori pub­blici era uscito dal lin­guag­gio poli­tico. A rilan­ciare il luogo comune ci ha pen­sato ieri mat­tina il pre­si­dente del Con­si­glio durante la con­fe­renza stampa di fine anno.

Sulla ormai mor­bosa que­stione dell’allargamento del Jobs act ai dipen­denti pub­blici, Mat­teo Renzi ha argo­men­tato lun­ga­mente, incal­zato dalle domande dei gior­na­li­sti. Con­fer­mando le paure della Cgil: il vero obiet­tivo del pre­si­dente del con­si­glio è intro­durre nell’ordinamento che regola il lavoro pub­blico il licen­zia­mento per scarso ren­di­mento. «Io — spiega il pre­mier — sono uno di quelli che crede che vada cam­biato il sistema del pub­blico impiego e che chi sba­glia deve pagare. Ma non sono per appli­care esat­ta­mente il sistema del pri­vato: se abbiamo deciso di non met­tere lo scarso ren­di­mento nel pri­vato, que­sto non vuol dire che non lo si possa met­tere nel pub­blico impiego. E visto che si entra per con­corso, si può imma­gi­nare che i giu­dici abbiano un ruolo mag­giore», ha pesato le parole.

Il tutto però è deman­dato ad un’altra delega. Quella della riforma della pub­blica ammi­ni­stra­zione che dovrebbe essere appro­vata e pre­sen­tata poi dal governo fra «feb­braio e marzo». Anche per­ché — a parte l’ultimo giap­po­nese Pie­tro Ichino che ancora non si arrende — i giu­ri­sti sono tutti con­cordi nel valu­tare come la spe­ci­fi­cità del lavoro pub­blico non con­senta un allar­ga­mento del Jobs act oltre il set­tore privato.

«Ho tolto quella norma io — ha riba­dito Renzi — per­ché non aveva senso. Il Jobs Act non si occupa di disci­pli­nare i rap­porti del pub­blico impiego. In Con­si­glio dei mini­stri ho pro­po­sto di toglierla per­ché non aveva senso inse­rirla in un pro­po­sta che parla di altro, in Senato c’è già una legge che riguarda que­sto set­tore», ha ricor­dato facendo rife­ri­mento alla delega.

«Le regole del pub­blico impiego le vedremo nella discus­sione del Madia tra feb­braio e marzo», ha chio­sato Renzi, lasciando qual­che dub­bio per­fino in Mau­ri­zio Sac­coni in un altro ultrà dello scarso ren­di­mento che su Twit­ter si pone la reto­rica domanda: «Se non si ammette licen­zia­mento per scarso ren­di­mento nel pri­vato, è vero­si­mile intro­durlo nel pubblico?».

Del resto anche Elsa For­nero, mini­stro del Lavoro che ha dato il nome alla riforma entrata in vigore solo due anni e mezzo fa, sostenne che avrebbe voluto allar­gare ai pub­blici le nuove norme, l’articolo 18 e il rein­te­gro già muti­lati all’epoca. «Non me l’hanno con­sen­tito», disse la For­nero, par­lando dell’ostruzione della buro­cra­zia ministeriale.

Per il resto sul Jobs act — o meglio sui primi due decreti delega varati dal con­si­glio dei mini­stri — il pre­mier ha con­ti­nuato a soste­nere la giu­stezza delle norme, con­te­state sia da destra — per­ché troppo timide — che da sini­stra — per­ché can­cel­lano i diritti dei lavo­ra­tori e il con­tratto a tempo inde­ter­mi­nato. «In mate­ria di lavoro — sot­to­li­nea Renzi — siamo al derby ideo­lo­gico costante: in 10 mesi abbiamo fatto un riforma del mondo del lavoro molto più fles­si­bile non solo della Ger­ma­nia, ma anche da governi precedenti».

Sar­ca­stico invece il pre­mier sulla pos­si­bi­lità di un refe­ren­dum abro­ga­tivo, lan­ciata dalle colonne del Mani­fe­sto dal giu­ri­sta Pier­gio­vanni Alleva, ipo­tesi «non scar­tata» da Ste­fano Fas­sina. «I decreti non hanno avuto la firma e già si parla di refe­ren­dum — ha attac­cato Renzi — . Sono sicuro che faremo prima il refe­ren­dum sulla Costi­tu­zione, sul titolo V, sul Senato e sull’abolizione del Cnel», ha promesso.

Alla ripresa dei lavori par­la­men­tari comin­cerà l’esame del decreto da parte delle com­mis­sioni Lavoro di Camera e Senato che dovranno espri­mere un parere con­sul­tivo non vin­co­lante soprat­tutto sul rispetto della delega da parte del governo, sot­to­li­neando quindi even­tuali norme che sono andate al di là del man­dato rice­vuto dal par­la­mento. Cesare Damiano, pre­si­dente della com­mis­sione alla Camera, ha più volte riba­dito che chie­derà di stral­ciare la parte sui licen­zia­menti col­let­tivi, non pre­vi­sta nella delega. Dif­fi­cile però che Renzi nel con­si­glio dei mini­stri che dovrà valu­tare se cam­biare il testo, decida di seguirne l’indicazione. Modi­fi­che in vista invece sul secondo decreto, quello sul nuovo Aspi: la man­canza di coper­tura — almeno 400 milioni — e le cri­ti­che per la scia­rada di nuove sigle che non arri­vano «ai «24 mesi» strom­baz­zati da Renzi ed esclu­dono in toto le par­tite Iva, potreb­bero far stra­vol­gere il testo.



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