La Torre dell’intol­le­ranza

La Torre dell’intol­le­ranza

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Pisa come la Tre­viso degli anni ’90? La città delle tre uni­ver­sità, che ogni anno ricorda Franco Seran­tini, che ha nella curva nord “Mau­ri­zio Alberti” un esem­pio di tifo­se­ria soli­dale e anti­fa­sci­sta, dovrebbe essere impa­ra­go­na­bile con l’ex feudo leghi­sta del sin­daco sce­riffo Gen­ti­lini. Eppure sotto la Torre pen­dente va in scena da qual­che anno un tri­stis­simo spet­ta­colo fatto di con­ti­nui sgom­beri e auten­tici pogrom, come quello rac­con­tato in que­sta pagina ai danni della sto­rica comu­nità rom della Bigattiera.

Il cen­tro­si­ni­stra pisano che ammi­ni­stra la città da palazzo Gam­ba­corti sta rag­giun­gendo più di un record in fatto di intol­le­ranza. A par­tire dall’incredibile numero di sgom­beri che sta accom­pa­gnando il cam­mino del Pro­getto Rebel­dìa e della sua filia­zione nel Muni­ci­pio dei beni comuni, per finire con le dichia­ra­zioni dell’assessora alle poli­ti­che sociali San­dra Capuzzi. Un’amministratrice che, in spre­gio a ogni prin­ci­pio di quella lega­lità che a parole dice di voler difen­dere, è arri­vata a negare diritti su base etnica, chie­dendo alla pre­fet­tura di avviare azioni per limi­tare il numero dei rom e sinti sul territorio.

Alla presa di posi­zione dell’assessora, che fa parte della giunta Pd-Sel-Psi-centristi del sin­daco dem Marco Filip­pe­schi, hanno subito repli­cato Africa Insieme, Pro­getto Rebel­dìa, Osser­vA­zione e il Comi­tato per i diritti dei bam­bini e delle bam­bine della Bigat­tiera, con una denun­cia al Pre­fetto e all’Unar (Uffi­cio nazio­nale anti discri­mi­na­zioni raz­ziali). Per otte­nere una ret­ti­fica. E ricor­dando che né lo Stato, né tanto meno una ammi­ni­stra­zione comu­nale, può per legge discri­mi­nare una comu­nità stra­niera dalle altre. Per­ché, sem­pli­ce­mente, non si pos­sono negare diritti su base etnica.

“A quale prin­ci­pio di lega­lità risponde la minac­ciata cac­ciata di circa 400 per­sone di etnia rom – chie­dono intanto dai ban­chi dell’opposizione Una città in Comune e Rifon­da­zione — per lo più ita­liane o resi­denti nel comune di Pisa da circa vent’anni per­ché pro­fu­ghi in fuga dalla guerra nella ex Jugo­sla­via? In che modo si intende ‘sele­zio­nare’ que­ste fami­glie? E che senso ha il ter­mine ‘nomadi’ per per­sone che vivono qui dagli anni ’90?”. Tutte domande legit­time, alle quali palazzo Gam­ba­corti risponde con gli sgom­beri e le ruspe. Utili a richia­mare le tele­ca­mere e i cro­ni­sti, certo. Ma che ser­vono (soprat­tutto) a nascon­dere il fatto che le cri­ti­che dei cit­ta­dini, nei quar­tieri in cui sono dislo­cati alcuni campi, non sono pro­vo­cate tanto dalla pre­senza delle fami­glie rom, ma dall’assenza di qual­siasi pro­getto sociale, cul­tu­rale, ambien­tale e rela­zio­nale serio, pia­ni­fi­cato e non estem­po­ra­neo, da parte di una ammi­ni­stra­zione forte con i deboli e debo­lis­sima con i forti. Vedi palazzo Boyl.



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