Un vento nuovo

by redazione | 13 Dicembre 2014 12:33

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Hanno spiaz­zato il governo, con uno scio­pero riu­scito e 54 mani­fe­sta­zioni pro­mosse in tutta Ita­lia dal tan­dem ine­dito Cgil-Uil, con la par­te­ci­pa­zione di tanti stu­denti e pre­cari. Così è stato chiaro a tutti che solo il pre­si­dio dei lavo­ra­tori difende la demo­cra­zia. Pro­prio nell’anniversario infau­sto del 12 dicem­bre ’69, la data che avviò la lunga scia di san­gue delle stragi di stato. Anche sta­volta ten­sioni e pro­vo­ca­zioni non sono man­cate, né scon­tri e fron­teg­gia­menti con la poli­zia, che quasi ovun­que hanno creato un clima inti­mi­da­to­rio con­tro un diritto: quello di scio­pe­rare e mani­fe­stare. Un clima anti­ci­pato dal dik­tat — rien­trato solo per la dura rispo­sta della Cgil — del governo di centrosinistra-centrodestra, con il mini­stro Lupi (pic­colo Scelba) che ha pen­sato bene di annun­ciare la pre­cet­ta­zione dei fer­ro­vieri. Pre­cet­ta­zione vuol dire che dal lavo­ra­tore che vuole scio­pe­rare si pre­sen­tano i cara­bi­nieri. E, bontà sua, dalla Tur­chia, il pre­si­dente del con­si­glio Mat­teo Renzi ha rico­no­sciuto che lo scio­pero è «un diritto costi­tu­zio­nale». Cose tur­che, dav­vero. Senza dimen­ti­care che alla vigi­lia dello scio­pero gene­rale, la mini­stra della difesa Pinotti, spon­sor il Pen­ta­gono, ha annun­ciato la svolta della crisi ita­liana: il «polo ita­liano degli F35 a Cameri per tutta l’Europa». Ecco il nuovo modello di svi­luppo per il Bel­paese: la guerra. Per­ché l’Italia alla fine com­prerà 90 F-35 spen­dendo 13 miliardi di euro. Men­tre taglia salari, scuola e sanità.

Forse il governo Renzi non ha capito che il vento è cam­biato. Dalla gran­diosa mani­fe­sta­zione della Cgil del 25 otto­bre è sul campo una nuova forza «milio­na­ria»: milioni di donne e uomini, non un par­tito ma un grande movi­mento, che dice «basta». Come ieri hanno ripe­tuto nei loro comizi Lan­dini, Camusso e Bar­ba­gallo. Un movi­mento che manda a dire ai gover­nanti, la cui distanza con i gover­nati è diven­tata abis­sale, che senza i lavo­ra­tori e con­tro i lavo­ra­tori non si governa, né si assu­mono i nodi della crisi. Ma que­sto governo forse ha capito troppo bene. E infatti con­si­dera le orga­niz­za­zioni padro­nali come il sog­getto pro­gres­sivo della «cre­scita» basata, dice il Jobs Act, su costi insop­por­ta­bili, l’aumento della pre­ca­rietà, della disoc­cu­pa­zione, della povertà e delle dise­gua­glianze. E ieri, 12 dicem­bre, que­sto nuovo sog­getto poli­tico di movi­mento ha scio­pe­rato ed è sceso in piazza a ricor­dare a tutti noi che la demo­cra­zia si difende e si rav­viva con l’esercizio dei diritti con­qui­stati. Per­ché la demo­cra­zia non sta nei com­pu­ter e nei mega­schermi della Leo­polda ma nell’abisso delle fab­bri­che chiuse, negli occhi dei gio­vani senza futuro, nel buio delle peri­fe­rie abban­do­nate a mani­poli di corrotti.

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