2015, il rapporto Roubini “Sarà un anno da incubo l’America cresce da sola ferme Ue, Cina e Giappone”

by redazione | 2 Gennaio 2015 9:32

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SARÀ l’anno delle diseguaglianze a livello di Paesi. La crescita del pianeta sarà nel 2015 di poco superiore al 2014, ovvero intorno al 3%, e sarà l’America e guidarla, «ma questa sarà l’unica area in sviluppo». L’economia globale avrebbe invece bisogno «di una crescita diffusa per migliorare le condizioni di vita e di lavoro della popolazione e abbattere la disoccupazione». E’ la premessa al report di Capodanno che Nouriel Roubini ha inviato ieri ai suoi clienti – corporation, governi, fondi d’investimento – sparsi nei cinque continenti. «Nessun contributo verrà dall’Eurozona, dalla Cina e dal Giappone, che viceversa continueranno a dibattersi nelle rispettive crisi». Per l’Europa, è grave essere arrivati al 2015 senza aver risolto i suoi problemi perché l’anno appena iniziato, tra le altre inquietudini, porterà una raffica di elezioni: «Le politiche in Grecia, poi le presidenziali in Italia, quindi si voterà per il Parlamento in Spagna e Portogallo, dopodiché toccherà alla Gran Bretagna», commenta Brunello Rosa, capo economista dell’Rge (Roubini Global Economics), il think-tank del guru della Nyu. «Ogni appuntamento porta una serie di incognite. Quale Europa uscirà da questo ciclo non è dato saperlo ». Ma vediamo i dieci punti del rapporto.
1 GLI USA. La cosiddetta “anglosfera” (Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada) resterà di gran lunga l’area mondiale a più forte crescita, anzi l’unica delle quattro macrozone (le altre sono Europa, Giappone e Paesi emergenti compresa la Cina) a registrare un forte sviluppo, intorno al 3%. «Con tre motori fermi su quattro – scrive Roubini – è difficile parlare di “locomotive”: una parte consistente dell’economia si gioca oggi su fattori interni per cui la sola anglosfera non è in grado di creare così tanta domanda da esportare crescita e sviluppo in tutto il resto del mondo».
2 LA CINA. Pechino rallenterà ulteriormente la sua crescita, scendendo verso fine anno sotto il 6% rispetto al 7 o poco più con cui lo inizia, peggio di quanto indicano le fonti locali e lo stesso consensus occidentale. Ciò perché le riforme interne proseguono lentamente e il cambiamento del modello di sviluppo in favore di maggiori consumi è fermo.
3 L’EUROZONA. E’ il punto di debolezza più grave su scala globale. Nessuna ripresa per quest’anno, scrive Roubini, che vede anzi moltiplicarsi i rischi. Troppe e di crescente rilevanza, sono le forze politiche che minacciano di squassare alla radici la macchina dell’euro, anche senza volerla necessariamente abbattere. Roubini cita, a fianco di Syriza e Podemos, la Lega e il M5S, mentre a Londra c’è il rischio dopo le elezioni del referendum per l’uscita dall’Ue, non direttamente influente sull’euro ma un segnale politico preoccupante. Quanto alla Bce, anche se riuscirà a varare il sospirato quantitative easing sarà troppo tardi e troppo scarso, almeno a quanto si prevede (500 miliardi).
4 IL PETROLIO. Solo a fine anno i Paesi produttori si decideranno a tagliare la produzione e il prezzo si stabilizzerà sugli 85 dollari. Fino ad allora, i valori continueranno ad essere bassissimi, e questo se è positivo per l’occidente, esclude dalle correnti di crescita parti intere del mondo a partire dalla Russia. A proposito di quest’ultima, un accordo politico in extremis la salverà dal collasso con l’aiuto occidentale.
5 LA DEFLAZIONE. Resterà per tutto il 2015 il problema centrale dell’Europa e del Giappone. In entrambe le aree la crescita dell’indice dei prezzi resterà ampiamente sotto l’1%. Il crollo del petrolio, che pure porta altre conseguenze positive, farà la sua parte. Anche in America l’inflazione è bassa ma guardando – come fa la Fed – alla core inflation, depurata dei volatili valori energetici e alimentari, si arriva all’1,6%, cioè non lontano dal target che come in Europa è del 2. La deflazione, scrive Roubini, «è una piaga che resterà irrisolta, con il suo carico di debole domanda, mercato del lavoro fiacco, rialzi dei tassi reali sui debiti».
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IL GIAPPONE. Un barlume di speranza lo suscita l’Abenomics 2, con il suo carico di riforme e di quantitative easing rafforzato. E va considerata la capacità del premier di indire rapidamente le elezioni appena stentava l’Abenomics 1, e poi di lanciare subito dopo misure monetarie coordinate con la banca centrale. «Indica un’efficacia operativa, una coerenza e un’unità che l’Europa difficilmente mai avrà».
LA FED. Sui tassi americani, previsti in salita in primavera, Roubini ha un’opinione diversa: «La bassa inflazione, la forza del dollaro, la debolezza dell’economia mondiale e il lento trasferimento dei rialzi salariali all’inflazione dovuto a persistenti problemi di produttività, sposteranno la scadenza al terzo trimestre se non più tardi». Anche per i successivi rialzi, in calendario per il 2016, «la Fed eviterà di creare eccessive aspettative di una stretta creditizia». L’unico fatto che può accelerare il processo è «un eccessivo releveraging » , cioè se le aziende riprendono a indebitarsi troppo.
LA GUERRA DELLE VALUTE. La pressione concomitante della Bce, della Bank of Japan e della Cina per svalutare le rispettive valute sul dollaro finirà col creare tensioni con Washington. Non si andrà oltre gli 1,15 sull’euro e i 128 yen per dollaro.
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LE “BOLLE” . Anni di tassi bassi hanno aperto la porta a speculazioni e rialzi incontrollati che potrebbero scoppiare, nelle case, nel credito, nelle azioni. Le banche centrali risponderanno con misure che, per non turbare il cammino sui tassi, saranno nuove e mai sperimentate con i rischi che comporta.
LA VOLATILITÀ. Le consistenti disponibilità liquide, anche dovute ai vari “Qe” inducono il rischio di grossi sbandamenti dei mercati, in presenza per esempio di qualche fatto politico di rilievo, positivo o negativo, in Europa.
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