Bambina kamikaze a dieci anni L’orrore di Boko Haram in Nigeria

Bambina kamikaze a dieci anni L’orrore di Boko Haram in Nigeria

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La piccola kamikaze telecomandata è stata bloccata all’entrata del mercato, il metal detector ha lanciato un inutile allarme, le guardie non hanno fatto in tempo a intervenire perché la bambina è esplosa sotto e nei loro occhi, con un ordigno probabilmente innescato a distanza.
Le 12 e 40 di un sabato pomeriggio, la bambina secondo i testimoni avrà avuto dieci anni: l’esplosione ha tagliato in due il suo corpo, un pezzo volato dall’altra parte della strada, l’altro rimasto tra i cadaveri delle sue vittime, in mezzo alle gabbiette dei polli.
Maiduguri non è Parigi, e oggi non ci sarà nessuna manifestazione per quella ventina di vittime saltate in aria con la kamikaze nel remoto Nord-Est della Nigeria. Il fatto che non sia arrivata nessuna rivendicazione è già una rivendicazione, il marchio silenzioso di Boko Haram. Nella città capoluogo del Borno, accerchiata dalle squadre del califfo Abubakar Shekau, ieri arrivavano dal nord pullman scalcagnati con i pochi sopravvissuti della strage di Baga. Un modo per accoglierli, farli sentire al sicuro: una bambina esplosiva in regalo.
Gli islamisti che nel 2014 hanno fatto duemila morti nel Paese più ricco del continente usano donne kamikaze dallo scorso giugno. All’ultimo dell’anno, nel vicino Stato di Gombe, una figura con l’esplosivo sotto lo hijab ha affrettato il passo verso una caserma ed è stata fatta «brillare» da una raffica dei soldati di guardia. Il 25 novembre, proprio al mercato di Maiduguri, due donne velate hanno compiuto un massacro simile a quello di ieri: la seconda è esplosa tra i soccorritori e le vittime della prima, portando l’esplosivo sulle spalle come il fagottino di un neonato. Questa volta Boko Haram ha scelto direttamente una bambina.
È l’aberrante filiera di kamikaze locali, minorenni, produzione propria: rapiti nei villaggi per rinfoltire i combattenti, viventi o morenti poco importa. L’ennesimo messaggino elettorale per il presidente Goodluck Jonathan, che fra trenta giorni cerca la rielezione, e per il suo sfidante, l’ex generale Muhammadu Buhari, che ha il suo maggior bacino di voti nel Nord a maggioranza musulmana.
Maiduguri è un po’ Parigi se qualcuno può pensare di sfruttare il terrorismo a scopi elettorali. A nove mesi dal rapimento di Chibok, con oltre duecento studentesse mai tornate a casa, il gruppo il cui nome in lingua hausa significa «vietata l’educazione occidentale» manda il curriculum vitae di una piccola kamikaze in ciabatte come risposta alle Malala d’Africa e del mondo. Il sacrificio della vita non i sacrifici dello studio, l’esame del metal detector non quello di chimica.
Abubakar Shekau, che l’anno scorso ha proclamato la nascita di uno Stato Islamico nel Nord della Nigeria — dove per altro è già in vigore la sharia — conosce il mercato di Maiduguri. Da ragazzo bazzicava tra quei banchetti affollati, rivendeva lattine vuote, prima di entrare da apprendista nelle file del radicalismo militante. Se possibile, da parte sua suona ancora più vigliacco far esplodere una bambina telecomandata in quel polveroso, conosciuto mercato, dopo aver compiuto un massacro da centinaia di vittime (e da decine di titoli sui giornali di tutto il mondo).
Boko Haram già sta vincendo la sua miserabile guerra. E si permette il lusso, l’orrore, di buttare una vita lunga appena dieci anni, di aggiungerla al pallottoliere della sua macabra contabilità.
Un pezzo dall’altra parte della strada, un pezzo tra le gabbiette delle galline.
Michele Farina


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