Centrali, banche, media nel mirino I 140 Paesi pronti alla cyber guerra

Centrali, banche, media nel mirino I 140 Paesi pronti alla cyber guerra

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WASHINGTON E’ un momento di grande incertezza. Si temono le bombe dei terroristi e quelle sul web. I leader invocano risorse, protezione, controlli. Citano una minaccia ma paiono sottintenderne un’altra. La confusione non aiuta, il cittadino non capisce oppure ha giustamente dei sospetti: va bene stare in guardia, però non è che mi volete tenere d’occhio ancora meglio?
Pochi giorni fa il presidente Obama e il premier britannico Cameron si sono visti alla Casa Bianca. Un vertice dedicato in gran parte alla sicurezza. I due alleati storici hanno annunciato che vi saranno esercitazioni comuni a Wall Street e nella City. Prove per misurare le difese contro aggressori cibernetici capaci di creare scompiglio in gangli vitali della finanza. Per questo saranno create cellule con gli specialisti dell’Fbi e del MI5 britannico.
Si parte dal tempio del denaro pensando, però, ad un fronte più ampio. Il primo pericolo è quello di un attacco via Internet che possa paralizzare una centrale elettrica, un sistema di banche dati, centri di controllo che regolano attività quotidiane. Una volta in caso di conflitto si bombardavano gli impianti, oggi si può sganciare il «missile D», inteso come digitale. Un raid affidato ai computer. Un assalto lanciato da migliaia di chilometri di distanza per disturbare, distruggere, paralizzare. E’ già avvenuto. I siti nucleari e petroliferi iraniani sono stati spesso il bersaglio di queste operazioni. Poi altri hanno imitato, dotandosi di apparati adeguati.
Un rapporto dell’intelligence occidentale sostiene che almeno 140 paesi hanno creato le unità per la cyberwar. E’ l’arma del futuro ma che ha un presente. La Corea del Nord è citata per i suoi 1800 «guerrieri», sospettata di aver ricattato la Sony per il film «The Interview», però i cinesi hanno numeri superiori. Anzi sono tra i più aggressivi. Si intrufolano, spiano, sorvegliano in concorrenza con i russi.
Dall’altra parte ci sono gli americani con mezzi illimitati. Il dipartimento che sviluppa la ricerca in questo settore ha avuto un budget di 1,5 miliardi di dollari per il segmento 2015-2017. Il Cyber Command Usa ha sviluppato piani non solo per potenziare lo scudo ma anche per condurre campagne d’attacco estese. In certe aree del mondo affiancheranno quelle tradizionali.
E se si parla di web è impossibile ignorare l’impatto dell’Nsa. L’agenzia per l’intelligence elettronica carpisce telefonate e email, registra le nostre vite e sostiene l’attività del Pentagono nella guerra digitale. Dai suoi laboratori escono nuove tecniche per soddisfare le richieste del governo preoccupato che qualcosa sfugga. Le scorrerie degli hacker contro il Central Command di Tampa, in Florida, rivendicate dall’Isis (ci sono tanti dubbi) o l’offensiva che ha coinvolto i media francesi rientrano nella categoria della guerriglia D. A volte sofisticata, in altre simile allo sfregio vandalico. Che però inquieta le autorità. L’ex responsabile dell’Nsa, Keith Alexander, ha affermato ieri: «Non siamo pronti».
Ancora Cameron. Durante la sua missione negli Usa, è tornato su un punto che riguarda tutti: «Non dovrebbero esistere comunicazioni che non si possano leggere». Frase seguita da pressioni sulle dirigenze dei grandi social network affinché collaborino in modo esteso con la sicurezza nel fornire informazioni su alcuni «visitatori» sospettati di essere contigui al terrorismo. Una richiesta che vuole soddisfare l’esigenza di monitorare potenziali attentatori. Un terreno scivoloso in quanto è facile, in alcune situazioni, abbattere la parete della privacy.
Chi segue il fenomeno jihadista con approccio accademico consiglia però di non chiudere tutti i canali. Ed ha ragione. I militanti svelano molto di se stessi, con un messaggio su Twitter o una foto su Facebook. Un esempio. Abu Soussi, l’uomo accusato di essere il referente della cellula belga, si è mostrato spesso sul web. Errori a volte incredibili accanto a metodi protetti. Nel 2011 un corriere di Al Qaeda è stato fermato in Germania al suo rientro dal Pakistan; aveva documenti importanti su piani eversivi: erano celati in file criptati all’interno di foto pornografiche.


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