Creditori, achtung! È un «ricatto» greco

by redazione | 25 Gennaio 2015 11:16

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La stampa con­ser­va­trice tede­sca sem­bra ormai dare per scon­tata la vit­to­ria di Syriza alle ele­zioni gre­che. Ma a que­sta fune­sta pre­vi­sione non cor­ri­sponde alcuna rassegnazione.

Si affi­lano dun­que le armi con­tro il «ricatto» greco. Così la Frank­fur­ter All­ge­meine Zei­tung si rivolge ai cre­di­tori di Atene met­ten­doli in guar­dia da ogni cedi­mento. Que­sti ultimi potreb­bero infatti temere che il blocco totale dei paga­menti e l’uscita di Atene dall’euro possa desta­bi­liz­zare le ban­che e i mer­cati finan­ziari, favo­rire la spe­cu­la­zione e spin­gere altri stati a lasciare l’eurozona o a for­zarne, più o meno gra­ve­mente, le regole. Inol­tre si dovrebbe dire addio ai miliardi inve­stiti nel sal­va­tag­gio dell’economia greca. Cir­co­stanza che gli elet­tori non man­che­reb­bero di far pagare ai rispet­tivi governi. Que­sti timori costi­tui­reb­bero altret­tante armi nelle mani del dia­bo­lico Tsi­pras, per pie­gare la gover­nance euro­pea al risa­na­mento, in primo luogo sociale, del pro­prio paese.

Dun­que, secondo il quo­ti­diano con­ser­va­tore, biso­gna cor­rere ai ripari. Gli stati dell’eurozona dovranno attrez­zarsi a met­tere in conto le per­dite pro­vo­cate da un even­tuale default greco e la Com­mis­sione euro­pea dovrebbe, per parte sua, garan­tire che gli aumenti dei debiti pub­blici con­se­guenti a que­ste per­dite saranno tol­le­rati. La Banca cen­trale euro­pea dovrà poi esclu­dere la Gre­cia dal piano di quan­ti­ta­tive easing, e gli aiuti finan­ziari pre­vi­sti dal piano di sal­va­tag­gio dovranno essere con­ge­lati fino a quando non sarà chiaro fino in fondo il corso poli­tico deciso ad Atene.

Tut­ta­via le isti­tu­zioni euro­pee chia­ri­ranno che non vi è alcuna volontà di discri­mi­nare la Gre­cia, né, tan­to­meno, di sospin­gerla fuori dall’euro. Se Atene obbe­dirà alle pre­scri­zioni della Troika, in un impre­ci­sato futuro potrà godere di «faci­li­ta­zioni» e «alleg­ge­ri­menti». Non è dun­que la Gre­cia come fram­mento dell’economia glo­bale il ber­sa­glio, ma il suo governo demo­cra­tico al quale resta pre­fe­ri­bile una oli­gar­chia, sia pure dila­pi­da­trice e cor­rotta, ma sem­pre dispo­ni­bile, all’occorrenza, a basto­nare i cit­ta­dini a garan­zia degli inte­ressi dei creditori.

La ricetta sug­ge­rita dalla Frank­fur­ter All­ge­meine ha lo scopo evi­dente di impo­stare la guerra con­tro il nuovo corso elle­nico non come una guerra tede­sca, ma come una guerra euro­pea che escluda pre­ven­ti­va­mente ogni rischio di emu­la­zione. A Ber­lino, infatti, dopo l’operazione varata da Dra­ghi, nono­stante tutti i vin­coli e le garan­zie di cui si è cir­con­data, la dif­fi­denza nei con­fronti di un’Europa, sulla quale il con­trollo tede­sco sem­bra inde­bo­lirsi, cre­sce a vista d’occhio. La que­stione della Gre­cia diviene così cen­trale. Lì rischia di aprirsi una peri­co­losa brec­cia nella logica del cosìd­detto «rigore».

La situa­zione di Atene, e la poli­tica appli­cata nei suoi con­fronti dove­vano ser­vire da monito, labo­ra­to­rio e modello al resto dell’Europa e, soprat­tutto, ai paesi in mag­giore dif­fi­coltà. Ora, con la temuta vit­to­ria di Syriza, quel modello rischia di cam­biare radi­cal­mente di segno, di rove­sciarsi nel suo con­tra­rio. Ber­lino non può con­sen­tire che una alter­na­tiva prenda vita. Il minac­cioso monito «se non fate i bravi farete la fine della Gre­cia» non può rischiare di tra­sfor­marsi in una promessa.

La posta in gioco è alta e i fal­chi lo sanno molto bene.

Per que­sta ragione è già ini­ziata la guerra pre­ven­tiva con­tro un governo che ancora non esi­ste. Ormai fal­lito, come sem­bra pro­ba­bile, il ricatto nei con­fronti degli elet­tori greci si pre­di­spon­gono le stra­te­gie per con­tra­stare il nuovo corso elle­nico, una volta pas­sato il tempo delle pro­messe elet­to­rali. Fino al punto di chiu­dere un occhio sulle pec­che di altri paesi inde­bi­tati dell’eurozona pur­ché si aggre­ghino, o almeno non con­tra­stino la cro­ciata con­tro la Gre­cia. Dai toni duri della Bun­de­sbank a quelli meno ruvidi della Can­cel­liera tutto con­verge in que­sta dire­zione. Men­tre il varo della mano­vra della Bce è sem­pre più osses­si­va­mente accom­pa­gnato dall’imperativo di pro­se­guire sulla via delle cosìd­dette «riforme», vale a dire il ridi­men­sio­na­mento del wel­fare, la con­tra­zione dei diritti e dei salari.

E men­tre l’autorevole Frank­fur­ter All­ge­meine espone le sue dotte ricette macroe­co­no­mi­che, per pie­gare la Gre­cia di Tsi­pras, la stampa popo­lare si inge­gna nel tra­durre in un numero stra­to­sfe­rico di boc­cali di birra i pre­sunti costi del quan­ti­ta­tive easing a bene­fi­cio dei suoi non raf­fi­na­tis­simi lettori.

La Ger­ma­nia, sem­pre più dif­fi­dente, guarda a destra.

Prova ne sia che il vice­can­cel­liere social­de­mo­cra­tico Sieg­mar Gabriel decide di par­te­ci­pare a un incon­tro con alcuni espo­nenti di Pegida (i «Patrioti euro­pei con­tro l’islamizzazione dell’Occidente») che, per carità, «non sono tutti nazi­sti e le loro pre­oc­cu­pa­zioni meri­tano ascolto». Il fatto è che la parola d’ordine della «prio­rità nazio­nale» non è del tutto fuori luogo nelle stanze della Can­cel­le­ria. Ma ancora non può fare a meno delle stel­line della ban­diera dell’Unione, con qual­che eccezione.

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