L’ucraina nella UE ma non nella Nato una soluzione per tutti

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Chi nutrisse ottimismo su una politica estera comune dell’Europa, non ha che da guardare a cosa essa sta facendo per la crisi ucraina. Il «documento di lavoro» elaborato da Federica Mogherini è morto sul nascere e il suo tentativo di creare una tela di fondo su cui ragionare di Russia — e di Ucraina — galleggia stentatamente fra mille ambiguità e resistenze.
Quello che sta accadendo nell’Est dell’Ucraina è certamente inaccettabile: l’invasione mascherata di truppe russe senza mostrine ma bene armate costituisce una violazione dell’ordine internazionale. Le sanzioni tuttavia non vanno viste come un fine in sé, bensì come il mezzo per arrivare a una situazione in cui diritti e aspettative di tutti vengano garantiti. Sui rapporti con la Russia — di cui la questione ucraina è il più forte addentellato — si incrociano in Europa pregiudiziali ideologiche, rigore etico, tattiche politiche e convenienze commerciali: il tutto in un guazzabuglio nel quale è problematico individuare un filo comune. L’Ue rappresenta per la Polonia, i Paesi baltici e, in misura diversa, gli altri ex membri del «campo socialista», la garanzia contro un possibile ritorno di fiamma dell’espansionismo russo. La crisi ucraina diventa così la cartina di tornasole della determinazione di non permettere cedimenti davanti a un Paese che mostra di capire solo il linguaggio della forza.
Angela Merkel ha saputo resistere alle pressioni del mondo economico tedesco e ha ribadito una linea di rigore. In questo, non perché sia stata indifferente a considerazioni commerciali (il danno è reale e si vede), ma perché ha ritenuto che, per capire dove stia una linea accettabile di compromesso, il gioco di Putin vada visto senza cedimenti. Nello svolgere il ruolo di leader politico di fatto dell’Europa, il suo cammino si è incontrato con quello di Londra, che alla volontà di non rinunciare comunque a un ruolo politico attivo ha aggiunto quello, tradizionale, di portavoce in Europa delle posizioni Usa. Francia e Italia sono state accusate di opportunismo, dove il ragionamento politico nascondeva la vera motivazione di contenere i danni sul mercato russo (e magari conquistare qualcosa ai danni della Germania). Qualche fondamento c’è, ma affermazioni del genere sono riduttive: dietro la posizione di Roma c’è la considerazione — giusta a mio avviso — che per rendere efficaci le sanzioni sia necessario partire da una considerazione realistica del dare e dell’avere rispettivo. Una posizione ben diversa dal tatticismo filorusso dell’Ungheria di Orban o della Grecia di Tsipras, al debutto di una partita negoziale dura, che si appresta a giocare su tutti i fronti possibili.
Può fare qualcosa una Europa così frammentata? Forse sì mettendo in campo una combinazione fra fermezza tedesca ed elaborazione politica italo-francese. L’Ucraina è al centro di quello che un tempo era la faglia che divideva Est e Ovest, che la caduta del Muro non ha cancellato e nella quale la guerra non dichiarata in atto ha radicalizzato pericolosamente le posizioni. Fornire armi a Kiev come vorrebbero gli Usa (e il Financial Times ) aprirebbe la via a una escalation che rischierebbe di fare incancrenire la situazione i cui sviluppi sarebbero imprevedibili. Se la secessione di fatto cui puntano i ribelli filorussi non può essere oggetto di negoziato, il governo ucraino da parte sua deve una volta per tutte onorare l’impegno per riforme costituzionali che garantiscano sostanziali autonomie al suo interno, più volte assunto e mai realizzato. La parola «Federazione» evoca a ragione lo spettro dell’orso russo, ma i toni intolleranti che di quando in quando provengono da Kiev non vanno trascurati: la storia anche recente del Paese ne è troppo ricca per prenderli alla leggera.
Bisogna ripristinare un minimo di legittimazione democratica, prima che tutto vada fuori controllo. L’adesione all’Ue rappresenterebbe per l’Ucraina il riconoscimento definitivo della propria autonomia; allo stesso tempo, il rispetto rigoroso delle regole di democrazia e libertà contenute nei Trattati costituirebbe per tutti una garanzia, su cui impostare il superamento delle divisioni attuali. L’Ucraina nell’Ue continuerebbe a non piacere a Mosca ma, nella misura in cui rafforzerebbe le autonomie e la tutela delle minoranze, le sarebbe difficile opporvisi frontalmente. Diverso è il discorso per quanto riguarda la Nato. È qui che si colloca verosimilmente la linea di resistenza di Putin, per il quale sarebbe difficile accettare che la vecchia faglia che lo separava dall’Occidente venga coperta dall’espansione di quella che — a torto o a ragione — considera una alleanza passata molto rapidamente dalla cooperazione diffidente al confronto strisciante con Mosca. Senza contare che una Ucraina nella Nato sarebbe divisiva non solo nei confronti di Mosca, ma anche in seno all’Alleanza.
L’Unione europea garante di una Ucraina democratica, multiculturale e attenta alle minoranze dunque? Per quanto l’ipotesi appaia difficile, non è impossibile. A meno di non voler lasciare il campo solo alla Germania.
Angela Merkel ha saputo resistere alle pressioni del mondo economico tedesco e ha ribadito una linea di rigore. In questo, non perché sia stata indifferente a considerazioni commerciali (il danno è reale e si vede), ma perché ha ritenuto che, per capire dove stia una linea accettabile di compromesso, il gioco di Putin vada visto senza cedimenti. Nello svolgere il ruolo di leader politico di fatto dell’Europa, il suo cammino si è incontrato con quello di Londra, che alla volontà di non rinunciare comunque a un ruolo politico attivo ha aggiunto quello, tradizionale, di portavoce in Europa delle posizioni Usa. Francia e Italia sono state accusate di opportunismo, dove il ragionamento politico nascondeva la vera motivazione di contenere i danni sul mercato russo (e magari conquistare qualcosa ai danni della Germania). Qualche fondamento c’è, ma affermazioni del genere sono riduttive: dietro la posizione di Roma c’è la considerazione — giusta a mio avviso — che per rendere efficaci le sanzioni sia necessario partire da una considerazione realistica del dare e dell’avere rispettivo. Una posizione ben diversa dal tatticismo filorusso dell’Ungheria di Orban o della Grecia di Tsipras, al debutto di una partita negoziale dura, che si appresta a giocare su tutti i fronti possibili.
Può fare qualcosa una Europa così frammentata? Forse sì mettendo in campo una combinazione fra fermezza tedesca ed elaborazione politica italo-francese. L’Ucraina è al centro di quello che un tempo era la faglia che divideva Est e Ovest, che la caduta del Muro non ha cancellato e nella quale la guerra non dichiarata in atto ha radicalizzato pericolosamente le posizioni. Fornire armi a Kiev come vorrebbero gli Usa (e il Financial Times ) aprirebbe la via a una escalation che rischierebbe di fare incancrenire la situazione i cui sviluppi sarebbero imprevedibili. Se la secessione di fatto cui puntano i ribelli filorussi non può essere oggetto di negoziato, il governo ucraino da parte sua deve una volta per tutte onorare l’impegno per riforme costituzionali che garantiscano sostanziali autonomie al suo interno, più volte assunto e mai realizzato. La parola «Federazione» evoca a ragione lo spettro dell’orso russo, ma i toni intolleranti che di quando in quando provengono da Kiev non vanno trascurati: la storia anche recente del Paese ne è troppo ricca per prenderli alla leggera.
Bisogna ripristinare un minimo di legittimazione democratica, prima che tutto vada fuori controllo. L’adesione all’Ue rappresenterebbe per l’Ucraina il riconoscimento definitivo della propria autonomia; allo stesso tempo, il rispetto rigoroso delle regole di democrazia e libertà contenute nei Trattati costituirebbe per tutti una garanzia, su cui impostare il superamento delle divisioni attuali. L’Ucraina nell’Ue continuerebbe a non piacere a Mosca ma, nella misura in cui rafforzerebbe le autonomie e la tutela delle minoranze, le sarebbe difficile opporvisi frontalmente. Diverso è il discorso per quanto riguarda la Nato. È qui che si colloca verosimilmente la linea di resistenza di Putin, per il quale sarebbe difficile accettare che la vecchia faglia che lo separava dall’Occidente venga coperta dall’espansione di quella che — a torto o a ragione — considera una alleanza passata molto rapidamente dalla cooperazione diffidente al confronto strisciante con Mosca. Senza contare che una Ucraina nella Nato sarebbe divisiva non solo nei confronti di Mosca, ma anche in seno all’Alleanza.
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