Due milioni in piazza nella grande marcia contro la paura “Parigi capitale del mondo”

Due milioni in piazza nella grande marcia contro la paura “Parigi capitale del mondo”

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PARIGI. LE TRAGEDIE fanno versare lacrime, indignano, ma dolore e collera possono provocare miracoli. Politici si intende. In Place de la République ho avuto l’impressione di vivere una festa della liberazione. Quella dell’Europa non più litigiosa ma solidale, non più depressa ma grintosa. Liberata da timori e lamenti. Qualcosa di simile a una rinascita. Si può dunque rinascere a quasi sessant’anni, quanti ne ha l’Unione europea? Il sussulto è probabilmente effimero, ma al momento esaltante. Sulla statua di Marianna, simbolo della Repubblica, al centro della piazza, giovani di tante nazionalità agitano tricolori francesi, ma anche qualche tricolore italiano, e bandiere tedesche, spagnole, portoghesi, danesi, britanniche; e in mezzo a quelle europee ce ne sono alcune israeliane, palestinesi, tunisine, turche… Ecco questo è il miracolo politico cui assistoimprigionato in una folla tanto compatta che mi impedisce di respirare. Devo stare sulla punta dei piedi per prendere aria. Non c’è violenza, né rabbia. Molta euforia. Non ho mai ricevuto tante gomitate accompagnate da sorrisi. Ci pigiamo giovani e vecchi come se ci abbracciassimo. Non è sempre piacevole, ma nessuno vuole guastare la festa con litigi o brontolii. Il fatto di trovarsi in tanti insieme sembra creare sollievo. Capita di rado. Le esclamazioni sono in tante lingue, sono tedesche, inglesi, arabe, oltre a quelle dominanti francesi. Il freddo non aggressivo e il cielo arruffato, ma con ampie chiazze di sereno, contribuiscono all’aria di festa.
Non so quanta gente ci sia tra la République e la Nation, sulle piazze e gli ampi boulevard; e sottoterra, dove oggi si viaggia sulla metropolitana senza biglietto. Un gendarme mi dice più di un milione. Un altro dice: no, due milioni. L’euforia non risparmia le forze dell’ordine. C’è euforia, eppure siamo qui a ricordare diciassette e morti, quelli delle tre drammatiche giornate parigine, sette, otto, nove gennaio. Mercoledì, giovedì, venerdì della scorsa settimana. I loro cadaveri sono ancora negli obitori, per gli esami anatomici necessari alla giustizia. I parenti delle vittime sono in testa al corteo diretto verso la Nation lungo viale Voltaire. Ma non c’è nulla di funereo.
E’ una “marcia repubblicana”, una manifestazione con cui si vogliono ribadire i principi democratici europei insanguinati da tre terroristi. Tre terroristi musulmani, ma di nazionalità francese. Nati in Francia. Quindi ufficialmente europei nonostante le origini delle loro famiglie. La ventata di odio che ha spinto alla strage veniva da altre contrade, ma è stata compiuta da gente di casa. Pare che Cherif, uno dei fratelli assassini non parlasse quasi l’arabo. Il triplice attentato (il massacro di Charlie Hebdo, l’uccisione a Montrouge dell’allieva vigile urbano, e la scarica micidiale di kalashnikov a Porta di Vincennes contro gli ostaggi ebrei) non era soltanto un’offensiva dei jihadisti mediorientali in Europa ma anche l’episodio di un conflitto civile. Più insidioso dunque, perché gli assassini sono tra di noi. E continueranno a colpire. La marcia repubblicana serve a liberarsi dalla paura. E per scrollarsela di dosso ci vuole grinta. Una società depressa subisce. Un’atmosfera solenne ma funebre avrebbe demoralizzato il paese. François Hollande, il presidente troppo normale, afflitto da un’impopolarità senza precedenti nella Quinta Repubblica, perché giudicato incerto, inconcludente, si è rivelato deciso quando lui stesso ha ordinato l’assalto finale ai terroristi venerdì sera, e un uomo geniale quando ha subito mobilitato il paese con la marcia repubblicana. Questa giornata è per lui un successo. Ha trasformato un avvenimento funesto in una festa della liberazione, liberazione dalla paura, e di riflesso in un insolito slancio europeo. In place de la République la gente riprende coraggio e vive la tardiva presa di coscienza che soltanto unendo le proprie forze l’Europa può far fronte alle insidie che la minacciano. In particolare a quella del fanatismo religioso, che nulla ha a che fare con il vero Islam. Per questo François Hollande ha dato alla marcia repubblicana una forte impronta europea. Tra i manifestanti ci sono degli arabi. Non sembrano frustrati. Né timorosi. Una giovane donna porta un cartello appeso al collo su cui è scritto: sono una parente dell’agente Ahmed Merabat, musulmano assassinato il 7 gennaio insieme a quelli di Charlie Hebdo. Ahmed Merabat era il poliziotto ucciso con un colpo alla nucaquando giaceva ferito sul marciapiede, davanti alla redazione del settimanale satirico. Le perplessità, i timori affiorati nelle moschee durante le preghiere del venerdì, hanno probabilmente impedito un forte affluenza dei musulmani alla manifestazione in place de la République, nonostante le ripetute esortazioni degli imam. Ma molte ragazze maghrebine leggono tra gli applausi dichiarazioni in cui si nega ai terroristi jihadisti il diritto di richiamarsi all’islam. Le sconfessioni si ripetono durante tutta la giornata mentre il corteo si muove tra la République e la Nation. Alcune sono spontanee altre suonano come dei rituali. Nel tardo pomeriggio Hollande fa visita ai familiari di Ahmed Merabat, il poliziotto assassinato. E poi alla grande sinagoga per ricordare gli ebrei massacrati alla Porta di Vincennes. Accusato di essere molle, il presidente rivela un dinamismo insolito. In un momento di grande tensione, compie tutti i gesti indispensabili per il primo cittadino di un paese che conta circa cinque milioni di musulmani e la più numerosa comunità ebraica, dopo Israele e gli Stati Uniti. Ha invitato più di quaranta tra capi di Stato e di governo e la gente non gli risparmia gli applausi quando imbocca viale Voltaire con Angela Merkel sottobraccio. Gli applausi arrivano anche dalle finestre e dai balconi. E sono spesso accompagnati da uno sventolio di bandiere di solito dedicato ai liberatori. Quello su viale Voltaire è un saluto all’Europa accorsa per esprimere solidarietà alla Francia ferita, e rivela la sorpresa davanti ai numerosi uomini di governo venuti a dimostrare che l’Europa, in preda a rigurgiti sciovinisti e da incomprensioni sul piano economico, nel vero dramma sa essere unita. È il momento delle emozioni, non quello di chiedersi per quanto tempo durerà quel comportamento esemplare. Adesso immaginiamo un’Europa rinata. Oltre ai leader europei (Merkel, Cameron, Renzi…) affiancano Hollande monarchi, emiri e ministri arabi. Ci sono anche Abbas, presidente palestinese, e Netanyahu, primo ministro israeliano. Avere preso l’iniziativa di farli camminare quasi fianco a fianco in una circostanza in cui i rapporti tra musulmani ed ebrei sono più tesi del solito, è stato un gesto al tempo stesso di coraggio e di buona diplomazia. Ma anche di saggezza perché può servire a placare la tensione tra gli elementi delle due comunità più sensibili alle ondate di antisemitismo e di islamofobia, di cui si accusano a vicenda. In queste ore vedere il leader palestinese e il primo ministro israeliano quasi fianco a fianco per le strade di Parigi ci è apparso un atto soprattutto giusto Un atto che dà prestigio a chi ne ha avuto l’iniziativa. Questa domenica di lutto ha offerto l’occasione per un rilancio dell’Europa depressa e spesso disunita, ed anche per creare nel paese che ne è stato il teatro l’opportunità di placare almeno per qualche giorno le rivalità nella politica interna. Nicolas Sarkozy, sconfitto tre anni fa da Hollande ed oggi capo dell’opposizione di centro destra, ha partecipato alla marcia repubblicana. E cosi l’UMP, il suo partito. Tutte le formazioni politiche erano presenti, ad eccezione di quella di Marine Le Pen che ha compiuto la sua marcia, non repubblicana, in un feudo elettorale del Front National, nel Sud della Francia. La presidente dell’estrema destra voleva un invito ufficiale e comunque non poteva percorrere il classico, storico itinerario della sinistra francese, che va dalla République alla Nation. Sul quale invece Hollande è riuscito a portare, almeno per una domenica, la società politica democratica francese ed anche l’Europa.


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