La nuova frontiera del Cristianesimo
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Una folla di poveri per il Papa dei poveri: la sterminata moltitudine di Manila aiuta a intendere qualcosa di Francesco e del destino della sua Chiesa. Abbiamo un Papa preso dal Sud del mondo che parla agli ultimi e in nome degli ultimi, i quali mostrano di capirlo e forse sono disposti a seguirlo nella sua predicazione radicale del comandamento dell’amore; mentre il Nord fatica a intendere quella predicazione, a partire dai cristiani identitari che legano le sorti del Cristianesimo a quelle dell’Occidente.
Un’identificazione ormai fuori epoca, essendo ogni giorno più chiara l’emigrazione delle Chiese verso i popoli del bisogno. I vescovi delle Filippine — che è il gigante cristiano dell’Asia — avevano proclamato il 2015 come «Anno dei poveri»: e qui abbiamo già una parola d’ordine che spiega bene l’incontro tra il Papa e quella moltitudine umana che ha sbalordito gli osservatori.
Ma c’è di più: la visita papale aveva come motto le parole «Misericordia e compassione», tipiche di papa Bergoglio e che attirano — anche qui da noi — l’umanità sofferente. Infine gli obiettivi della visita, che il cardinale di Manila Tagle aveva così definito: «Viene ad aiutarci a valorizzare i poveri, rinnovare la società, prenderci cura del Creato e vivere in maniera degna».
Osservando quella folla che nessuno poteva contare veniva da chiedersi se è ancora possibile che il Vangelo di Cristo sia inteso da vaste moltitudini, quasi da un intero popolo. Stenteremmo a crederlo, disincantati come siamo e allertati da mille vicende contraddittorie del nome cristiano, anche se lo stesso spettacolo l’avessimo a osservare — domani e dopo — in ogni altro Paese del Sud del pianeta che sarà visitato da papa Francesco.
Comunque il fatto è chiaro e vistoso: è solo per ascoltare le parole di pietà della tradizione cristiana che quell’umanità si è mossa dalle case e dalle baracche per incontrare un profeta disarmato che non aveva nulla di materiale o di politico da offrirle.
Ero a Manila nel 1995 per la visita di Giovanni Paolo II e anche allora si parlò di milioni di persone accorse ad accogliere il Papa e sembra incredibile che ieri possano essere state ancora di più. Le statistiche del Cristianesimo ci hanno abituato a progressive contrazioni, mentre laggiù i numeri e l’entusiasmo paiono accrescersi.
Eppure le Filippine vivono un momento difficile, la crisi economica affama chi già era negli stenti, il Paese non si è ancora ripreso dal tremendo tifone del novembre del 2013 che Francesco — con la tendenza all’iperbole che è amica di ogni predicatore — ha ricordato come «la tempesta più forte mai registrata sul pianeta».
Che ha potuto dire, in defin itiva, nell’insieme di questi giorni della sua missione in Oriente, il Papa che vorrebbe «una Chiesa povera e per i poveri»? Ha chiesto che «si faccia di più» per i bisognosi delle Filippine e del pianeta, che «la loro dignità venga rispettata», che si combattano «le cause della diseguaglianza e dell’ingiustizia».
Ha cioè evocato a più riprese e in più modi il dramma planetario dell’indigenza e della fame per il quale purtroppo nessuno ha una risposta, neanche la Chiesa di Roma. Ma essa oggi ha forse un vantaggio rispetto a ogni altro raggruppamento umano: quello di poter guardare al rimescolamento dei popoli con gli occhi di un uomo che viene dall’emisfero del bisogno.
Quando propone la sua denuncia da Roma pare che nessuno l’ascolti, ma se lo fa da Manila ognuno avverte che lo fa in nome di molti.
Ma c’è di più: la visita papale aveva come motto le parole «Misericordia e compassione», tipiche di papa Bergoglio e che attirano — anche qui da noi — l’umanità sofferente. Infine gli obiettivi della visita, che il cardinale di Manila Tagle aveva così definito: «Viene ad aiutarci a valorizzare i poveri, rinnovare la società, prenderci cura del Creato e vivere in maniera degna».
Osservando quella folla che nessuno poteva contare veniva da chiedersi se è ancora possibile che il Vangelo di Cristo sia inteso da vaste moltitudini, quasi da un intero popolo. Stenteremmo a crederlo, disincantati come siamo e allertati da mille vicende contraddittorie del nome cristiano, anche se lo stesso spettacolo l’avessimo a osservare — domani e dopo — in ogni altro Paese del Sud del pianeta che sarà visitato da papa Francesco.
Comunque il fatto è chiaro e vistoso: è solo per ascoltare le parole di pietà della tradizione cristiana che quell’umanità si è mossa dalle case e dalle baracche per incontrare un profeta disarmato che non aveva nulla di materiale o di politico da offrirle.
Ero a Manila nel 1995 per la visita di Giovanni Paolo II e anche allora si parlò di milioni di persone accorse ad accogliere il Papa e sembra incredibile che ieri possano essere state ancora di più. Le statistiche del Cristianesimo ci hanno abituato a progressive contrazioni, mentre laggiù i numeri e l’entusiasmo paiono accrescersi.
Eppure le Filippine vivono un momento difficile, la crisi economica affama chi già era negli stenti, il Paese non si è ancora ripreso dal tremendo tifone del novembre del 2013 che Francesco — con la tendenza all’iperbole che è amica di ogni predicatore — ha ricordato come «la tempesta più forte mai registrata sul pianeta».
Che ha potuto dire, in defin itiva, nell’insieme di questi giorni della sua missione in Oriente, il Papa che vorrebbe «una Chiesa povera e per i poveri»? Ha chiesto che «si faccia di più» per i bisognosi delle Filippine e del pianeta, che «la loro dignità venga rispettata», che si combattano «le cause della diseguaglianza e dell’ingiustizia».
Ha cioè evocato a più riprese e in più modi il dramma planetario dell’indigenza e della fame per il quale purtroppo nessuno ha una risposta, neanche la Chiesa di Roma. Ma essa oggi ha forse un vantaggio rispetto a ogni altro raggruppamento umano: quello di poter guardare al rimescolamento dei popoli con gli occhi di un uomo che viene dall’emisfero del bisogno.
Quando propone la sua denuncia da Roma pare che nessuno l’ascolti, ma se lo fa da Manila ognuno avverte che lo fa in nome di molti.
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