Da Osama al Califfo Bruxelles al centro della tela estremista

by redazione | 16 Gennaio 2015 9:27

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WASHINGTON La storia del terrorismo in Belgio parte da Bin Laden e arriva al Califfo. Terroristi che si sono passati di mano Kalashnikov, reti di reclutamento e centinaia di uomini.
Un passo indietro. Alla vigilia dell’11 settembre 2001 due attentatori suicidi uccidono il comandante Massud, il capo dell’Alleanza del Nord in Afghanistan, l’ultimo ostacolo contro i talebani. Hanno aggirato i controlli fingendosi giornalisti e usando documenti rubati a Bruxelles e l’Aia. Gli assassini sono dei tunisini con legami belgi. Il loro referente, Tarek M., ha sponde in Italia, dove può contare su numerosi affiliati. E non perché sia un colpo malevolo del destino.
Il Belgio, già negli anni 90, è un incrocio interessante per i jihadisti. Strade che portano al Nord Africa (Tunisia, Algeria, Marocco), all’Asia (Afghanistan e Pakistan) ma anche agli altri Paesi dell’Europa. Esponenti che agiscono nella capitale hanno rapporti con aspiranti mujaheddin che vivono in Francia o in Italia.
Mandano disposizioni e videocassette con scene belliche. Le nostre forze di polizia rimontano la filiera, fissano nomi, connessioni riempiendo faldoni. Una realtà che cresce nella comunità musulmana. In maggioranza pacifica ma che nasconde spine velenose e soffre per i problemi di inserimento sociale. Quel terreno propizio per il radicalismo armato non si inaridisce con la morte di Bin Laden. Riposa, sotto un primo strato di «terra» e ritrova linfa con l’esplosione delle primavere arabe. I duri sembravano dormire, resi apatici dall’eliminazione del fondatore di Al Qaeda, si risvegliano. Impastano le loro situazioni personali complicate alla tragedia che si consuma ogni giorno nel Vicino Oriente.
La Siria diventa il magnete irresistibile, meta finale — in tutti i sensi — per dozzine di giovani avviati da un network che ripercorre le mosse di quella afghana. I ricercatori, come Pieter Van Ostaeyen, indicano in oltre 400 i militanti belgi che raggiungono formazioni estremiste in Siria e in Iraq. Partono nell’ordine da Bruxelles, Anversa, Vilvorde con età media sui 25 anni. Li coordinano una rete ben nota, Sharia4Belgium, ed altre meno famose però efficaci. Si affermano piccoli ispiratori-facilitatori. Che indottrinano, pescano ed avviano la carne da cannone per gruppi pronti al martirio.
Fuad Belkacem, un passato nella criminalità comune, evita le moschee nel timore che siano monitorate dagli 007, raduna giovani d’origine marocchina e li aiuta a fare il balzo verso i campi di battaglia. Nel 2012 una pattuglia discreta segue Hakim Elouassaki, fratello di Hussein, figura carismatica e influente. Entrano nelle file della fazione Majilis Shura Mjaheddin, creata ad Aleppo da Firas e Amr al Absi. Sono dei traghettatori che l’anno dopo passeranno con l’Isis di Al Baghdadi. Altri combattenti si sono associati subito al Califfo, altri ancora scelgono i qaedisti di Al Nusra o altre brigate.
Chi è lanciato sui percorsi della jihad manda messaggi a casa, diventa modello, svolge molta propaganda sul web. Alcuni belgi compaiono anche nelle terribili storie degli ostaggi. Si racconta che tra i primi carcerieri di James Foley, uno dei tanti decapitati, ci siano dei terroristi venuti dal Nord Europa. Quando l’Isis diffonde il video con l’uccisione di Peter Kassig e di altri prigionieri le autorità riconoscono un aguzzino: è stato seguace di Elouassaki. Un belga-marocchino, responsabile del controspionaggio Isis, è invece giustiziato perché sospettato di passare informazione al nemico.
L’antiterrorismo segue il flusso, è allarmato, scheda. Nessuno ormai dice più «se» ma «quando» i veterani della guerra siriana torneranno per colpire in patria. All’inizio dell’estate scorsa il primo fendente. Mehdi Nemmouche, francese, attacca il museo ebraico di Bruxelles, tre le vittime, uccise con un Kalashnikov. Il killer filma l’omicidio con una telecamerina GoPro e poi scappa a bordo di un bus. Lo arresteranno a Marsiglia durante un normale controllo: emerge il suo rapporto con l’Isis come un soggiorno in Siria. Questo attentato apre una breccia, dimostra che le minacce non sono vaghe. I francesi scoprono anche dei complici di Nemmouche, confermando che l’idea del lupo solitario è sempre più superata da gang di elementi.
La polizia innalza le misure di sicurezza, conduce attività di interdizione. A settembre i primi allarmi seri. Fonti investigative rivelano: abbiamo sventato diversi piani eversivi, ma non lo abbiamo detto per non creare panico. Tra questi un progetto di attentato contro gli uffici comunitari animato da una coppia. La magistratura apre molti dossier investigativi, 46 persone finiscono in procedimenti giudiziari. Lavoro di contenimento per tagliare l’erba cattiva.
L’intelligence cerca di costruire una mappa di quanti, dopo l’esperienza bellica, hanno compiuto il percorso a ritroso. Un bel numero. C’è preoccupazione per le armi. Nel Paese il sottobosco vicino alla criminalità può fornire di tutto. Basta pagare, come ha fatto uno dei killer di Parigi, Amedy Coulibaly, venuto a rifornirsi da un trafficante locale.
I terroristi superano le frontiere, sono dei nomadi-guerrieri molto veloci. All’epoca di Osama dovevano falsificare i passaporti, inventarsi trucchi per i documenti e questo li esponeva alle indagini. Oggi hanno i loro, autentici. Sopra c’è scritto Unione Europea.
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