Quale presidente della Repubblica sulle macerie del lavoro

by redazione | 4 Gennaio 2015 10:04

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Rischia grosso anche il pub­blico impiego, a pro­po­sito del quale il governo ha rie­su­mato lo spet­tro dei «fan­nul­loni», e dove la pre­ca­rietà è da anni la regola per i nuovi assunti.

È una pro­vo­ca­zione del Blair ita­liota, l’ennesima? Oppure il passo deci­sivo verso l’omologazione del paese alle società mer­can­tili di tra­di­zione anglo­sas­sone? Il tutto, però, men­tre qui l’economia implode, la disoc­cu­pa­zione dilaga, la fidu­cia di imprese e con­su­ma­tori frana, la defla­zione incombe e vanno a picco interi set­tori dell’industria nazio­nale. Comun­que sia, pro­viamo a leg­gere poli­ti­ca­mente que­sto momento deli­ca­tis­simo, nel segno del quale comin­cia il nuovo anno.

Renzi è a metà del guado. Sin qui ha fatto di testa sua, osten­tando indif­fe­renza o disprezzo verso gli inter­lo­cu­tori, ad ecce­zione di quelli dotati di mag­gior potere mate­riale (l’Europa e i mer­cati) o sim­bo­lico (la pre­si­denza della Repub­blica e la stampa, entrambe peral­tro bene­vole nei suoi riguardi). Si è distinto soprat­tutto per il vio­lento attacco al sin­da­cato e – forte della mag­gio­ranza di fatto che regge il suo governo – per l’irrisione di alleati e com­pa­gni di par­tito non allineati.

È forse la prima volta nella sto­ria repub­bli­cana che un ese­cu­tivo fun­ziona a pieno regime con il sup­porto espli­cito di una parte dell’opposizione, con ciò vani­fi­cando il ruolo della mag­gio­ranza che gli ha per­messo di insediarsi.

Una novità che si aggiunge a quante, nel segno del tra­sfor­mi­smo orga­nico, hanno in que­sti vent’anni offeso la Costituzione.

Un uomo solo al comando, come disse a suo tempo. Che, nella fre­ne­sia di incal­zare e pro­met­tere e depi­stare sulle pro­messe infrante, ha aperto via via mille par­tite senza chiu­derne alcuna. E semi­nato lungo la strada feriti e mal­con­tenti. I quali non si dispe­re­reb­bero certo ove un serio infor­tu­nio inter­rom­pesse pre­ma­tu­ra­mente l’avventura del governo.

In que­sto fran­gente cade ora la madre di tutte le bat­ta­glie, l’elezione del nuovo capo dello Stato. Che potrebbe effet­ti­va­mente cam­biare il qua­dro in pro­fon­dità. E dav­vero segnare un punto di non ritorno nella legi­sla­tura e nella fase politica.

A rigore, o in astratto, quella che si pro­fila è un’opportunità. Al Pd, dalla quarta vota­zione, baste­rebbe tro­vare una qua­ran­tina di voti, che potreb­bero facil­mente con­ver­gere da sini­stra su un can­di­dato di garan­zia costi­tu­zio­nale, attento alle domande del mondo del lavoro e dei gio­vani, alle ragioni della pace, della lega­lità e dell’ambiente. Ma si tratta, è ovvio, di un’ipotesi astratta, che sem­pli­ce­mente non fa i conti con la realtà. Che sup­pone un Renzi ine­si­stente e un Pd imma­gi­na­rio. Se tor­niamo coi piedi per terra, dob­biamo rico­no­scere che la situa­zione non lascia per nulla tran­quilli. Anzi, giu­sti­fica la più viva apprensione.

Per con­ti­nuare nella sua avven­tura – sem­pre più impro­ba­bile, sem­pre più azzar­data – Renzi ha biso­gno di un pre­si­dente a pro­prio uso e con­sumo, ancor più di quanto non sia stato nel corso di quest’anno Napo­li­tano. Per que­sto deve con­vin­cere i prin­ci­pali sog­getti coin­volti nella scelta, che, al netto delle sue truppe, sono due: i for­zi­sti fedeli a Ber­lu­sconi e il varie­gato insieme delle mino­ranze Pd. Qui tutta la fac­cenda assume un aspetto inquietante.

Met­tere d’accordo tra loro la cosid­detta sini­stra demo­cra­tica e i vas­salli del vec­chio masa­niello com’è pos­si­bile? Non dovreb­bero, in linea di prin­ci­pio, esclu­dersi a vicenda, come il dia­volo esclude l’acqua santa?

Forse no, visto che in vent’anni la tanto decan­tata demo­cra­zia dell’alternanza non ha regi­strato serie discon­ti­nuità, almeno sui fon­da­men­tali della poli­tica eco­no­mica e isti­tu­zio­nale, e della guerra. Ma è vero, d’altra parte, che in que­sti mesi le mino­ranze interne del Pd hanno ripe­tu­ta­mente attac­cato il governo, soprat­tutto su eco­no­mia, lavoro e «riforme» costi­tu­zio­nali, da posi­zioni – stando agli atti – anti­te­ti­che a quelle della destra. E che destra ber­lu­sco­niana e sini­stra demo­cra­tica hanno, sulla carta, con­ce­zioni incon­ci­lia­bili sui diritti, la lega­lità, la difesa dei prin­cipi costituzionali.

E allora? Com’è che il pre­si­dente del Con­si­glio giura di vin­cere la par­tita senza dif­fi­coltà? Bluffa, mil­lanta anche in que­sto caso? Oppure ha in mano un jolly che, al dun­que, calerà?

In demo­cra­zia, pen­sa­vano i nostri padri, domande del genere nem­meno potreb­bero porsi, dato che la cit­ta­di­nanza governa in piena con­sa­pe­vo­lezza. Ma noi ci siamo dovuti ria­bi­tuare agli arcani del potere e ai patti siglati in gran segreto.

Sap­piamo di non sapere e di non potere fare pre­vi­sioni. Quindi non ci resta che atten­dere. Non senza, tut­ta­via, due brevi considerazioni.

La prima è che, ancora una volta, alla sini­stra Pd tocca un ruolo deci­sivo. Se anche il pros­simo pre­si­dente dovesse porsi a pre­si­dio di lar­ghe intese e patti segreti, su di essa rica­drebbe quest’altra enorme respon­sa­bi­lità, per la blin­da­tura di un sistema di potere anti­so­ciale, vocato alla guerra con­tro il lavoro e il wel­fare e allo sman­tel­la­mento della forma di governo parlamentare.

La seconda è che mai come in que­sto caso è impor­tante ricor­dare che al peg­gio non c’è fine. Pro­prio per­ché c’è stato Napo­li­tano, non è vero che ora si può sol­tanto miglio­rare. Que­sto pre­si­dente ha stra­volto il ruolo poli­ti­ciz­zan­dolo, ha arbi­trato la par­tita gio­cando fino all’ultimo per una delle forze in campo, ha pre­teso d’imporre al paese il pro­prio dise­gno. Non sol­tanto espo­nendo, con ciò, la più alta magi­stra­tura a un ine­dito dileg­gio, ma spia­nando altresì la strada ad altre esi­ziali forzature.

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