Una strage che viene da lontano

Una strage che viene da lontano

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Se doves­simo andare alla ricerca delle avvi­sa­glie di que­sta sorta di 11 set­tem­bre fran­cese che è stata la strage di ieri a Parigi, non si può non tenere in con­si­de­ra­zione il fatto che il Char­lie Hebdo era nel mirino dell’estremismo isla­mico fin dal set­tem­bre 2005, quando il gior­nale sati­rico pari­gino decise di met­tere in pagina le cari­ca­ture di Mao­metto pub­bli­cate dal danese Jyl­land Posten e con­si­de­rate «bla­sfeme» da tutto il mondo isla­mico. La satira sul Pro­feta pro­vocò vio­lente pro­te­ste di piazza e assalti alle amba­sciate che cau­sa­rono un cen­ti­naio di morti in tutto il mondo.

Chi ha buona memo­ria ricor­derà che, in Ita­lia, a get­tare ben­zina sul fuoco ci pensò l’allora mini­stro per le Riforme, Roberto Cal­de­roli, che si pre­sentò in tv con una t-shirt che ripro­du­ceva le vignette, gene­rando un’esplosione di rab­bia e alcuni morti a Ben­gasi, nella Libia ancora ghed­da­fiana. Le vignette incri­mi­nate furono poi acqui­site dalla Biblio­teca reale danese e fini­rono in un Museo dei fumetti. Ma nel frat­tempo, l’11 feb­braio del 2008, i ser­vizi segreti bloc­ca­rono ad Aarhus quat­tro pre­sunti jiha­di­sti, sospet­tati di pre­pa­rare un atten­tato a uno dei vignet­ti­sti, il set­tan­ta­treenne Kurt Wester­gaard, che aveva ritratto Mao­metto con una bomba nel turbante.

Anche il Char­lie Hebdo divenne un tar­get: alla fine del 2011 la reda­zione fu com­ple­ta­mente distrutta da un incen­dio doloso e il sito del gior­nale finì vit­tima di un attacco hac­ker dopo un numero spe­ciale deno­mi­nato «Sha­ria Hebdo». Per un periodo i gior­na­li­sti furono ospi­tati dal quo­ti­diano Libé­ra­tion. Che il gior­nale fosse ad altis­simo rischio era cosa risa­puta da anni, dun­que, al punto che davanti alla reda­zione di regola sta­zio­na­vano un paio di agenti di poli­zia, un po’ com’era acca­duto al mani­fe­sto dopo la bomba neo­fa­sci­sta del 2000. Ma le misure di sicu­rezza non sono bastate.

Se si volesse andare invece alla ricerca di qual­che segnale più vicino nel tempo, non si può non par­tire da quanto acca­duto alla vigi­lia delle ultime ele­zioni euro­pee a Bru­xel­les, quando un uomo armato di kala­sh­ni­kov era entrato nel Museo ebraico e ucciso quat­tro per­sone, tra i quali due visi­ta­tori israe­liani. Una decina di giorni dopo l’autore della strage fu arre­stato a Mar­si­glia, ma non è mai stato chia­rito se avesse agito da solo e chi fos­sero i man­danti. Quel che è inte­res­sante è però la rico­stru­zione del pro­filo dell’attentatore. Mehdi Nem­mou­che, un ven­ti­no­venne di ori­gini tuni­sine ma con pas­sa­porto fran­cese, veniva da Rou­baix, la città più povera e con il più alto tasso di disoc­cu­pa­zione della Fran­cia. Era stato arre­stato cin­que volte e con­dan­nato sette, sem­pre per reati comuni. Non pro­pria­mente il cur­ri­cu­lum di un estre­mi­sta isla­mico, piut­to­sto quello di un gio­vane che vive di espe­dienti in una realtà dif­fi­cile. Ma Nem­mou­che, uscito dal car­cere, alla fine del 2012 aveva fatto per­dere ogni trac­cia di sé e con ogni pro­ba­bi­lità era finito in Siria. Al ritorno, era un altro uomo, adde­strato a col­pire in Europa. Il giorno dell’arresto gli fu seque­strato un kala­sh­ni­kov avvolto in un telo nero con lo stemma dello Stato isla­mico in Iraq e nel Levante. È quest’ultima dina­mica che, forse, rie­sce a spie­gare più di tutte come i reclu­ta­tori dell’islamismo più intran­si­gente rie­scono a trarre linfa dal mal­con­tento delle peri­fe­rie francesi.

È nella ban­lieue pari­gina di Clichy-sous-Bois che, nel 2006, la morte di due mino­renni, ful­mi­nati in una cabina elet­trica nella quale ave­vano cer­cato riparo per sfug­gire alla poli­zia, aveva pro­vo­cato una rivolta che aveva mostrato come la Fran­cia fosse già un gigante malato, dai gravi pro­blemi sociali. Che il Paese fosse nel mirino degli estre­mi­sti isla­mici (legati alla galas­sia di Al Qaeda o al recente Isis) era chiaro dopo le minacce per l’intervento armato in Mali, lo scorso anno, e dopo la deca­pi­ta­zione, un mese fa in Alge­ria, di un turi­sta, Hervé Gourdel.

Meno pre­gnanti e forse solo signi­fi­ca­tivi di un clima di scon­tro nel quale anche il gesto di un folle può risul­tare poli­ti­ciz­zato, invece, paiono le azioni dispe­rate come quella di un lupo soli­ta­rio di 44 anni che lo scorso Natale ha acce­le­rato con il suo fur­gone fino a schian­tarsi con­tro un chio­schetto che ven­deva vin brulé in un mer­ca­tino nata­li­zio, tra­vol­gendo undici per­sone e ucci­den­done una, o dello squi­li­brato che a Digione ha inve­stito tre­dici pas­santi con la sua auto. Testi­mo­nianze di una Fran­cia sull’orlo di una crisi di nervi, dove l’estrema destra di Marine Le Pen cavalca la marea anti-islamista che monta in tutta Europa e si can­dida a gover­nare un Paese in guerra con se stesso.



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