Torna Kissinger l’eterno l’arma segreta di Obama per il disgelo con Putin

Torna Kissinger l’eterno l’arma segreta di Obama per il disgelo con Putin

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NEW YORK . Come capo della diplomazia Usa i suoi exploit risalgono a sei presidenti fa. Ma a 91 anni, Henry Kissinger non è arrugginito. Barack Obama gli ha affidato una missione informale e delicata: sondare Vladimir Putin, per riallacciare un dialogo costruttivo tra Washington e Mosca. Potrebbe essere questa la sorpresa del 2015. Obama ha chiuso il 2014 con il clamoroso disgelo verso Cuba, un gesto lungamente meditato dal presidente americano che già ci pensava sei anni fa quando era un semplice candidato alla Casa Bianca. Nell’ultimo biennio della sua presidenza ha in serbo altre svolte in politica estera. Tutti gli indizi puntano verso l’Iran: ristabilire le relazioni con Teheran dopo L’Avana, vorrebbe dire chiudere due fra le più gravi cesure diplomatiche. Perché non aggiungerci anche un disgelo con Mosca?
Le indiscrezioni pullulano su tutti i media americani, da Bloomberg News a The Daily Beast . E’ proprio Kissinger ad essere stato avvicinato da Obama per uno di quegli incarichi informali che l’ex segretario di Stato padroneggia a perfezione. Fu lui l’artefice del capolavoro nella diplomazia della guerra fredda, il disgelo tra Richard Nixon e Mao Zedong che fece uscire la Cina dall’isolamento e conquistò all’America un cruciale alleato contro l’Urss.
Kissinger non è l’unica pedina che Obama sta muovendo per riaprire i contatti con Mosca. L’attuale segretario di Stato, John Kerry, ha infittito i dialoghi con il suo omologo russo, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Poiché Lavrov parla un inglese perfetto, i due si sentono a tu per tu, senza interpreti né assistenti. L’obiettivo: esplorare una via d’uscita dall’impasse ucraina. Che consenta alla Russia di sottrarsi al suo isolamento attuale. E all’America di incassare la collaborazione russa su altri fronti di crisi: Iran, Siria.
La Casa Bianca si è convinta che Putin sia in una condizione di debolezza, quindi alla ricerca di un “ponte”: un’offerta che gli consenta di salvare la faccia, che non sembri umiliante per il nazionalismo russo, e al tempo stesso lo riabiliti almeno parzialmente agli occhi dell’Occidente. Obama è stato esplicito, perfino brutale nel suo sarcasmo, in occasione dell’ultima intervista (alla Cnn ) in cui ha parlato del leader russo: «Sotto la gestione di Putin c’è un crollo del rublo, un disastro finanziario, una pesante crisi dell’economia reale. Questa non mi pare la descrizione di uno che abbia messo in difficoltà l’America». Gli ultimi segnali dall’economia russa sembrano confermare l’analisi di Obama. Lo stesso governo di Mosca ormai si prepara ad una recessione: le previsioni sono di un calo del Pil pari a meno 4% nel 2015. Le ultime ore del 2014 sono state segnate da salvataggi pubblici di banche russe sull’orlo del de- fault (ultima della lista la Gazprombank, terzo istituto di credito nazionale, che ha ricevuto 700 milioni di dollari di aiuti per scongiurare la bancarotta). Con la caduta del petrolio, che ha perso il 50% in sei mesi, le risorse a disposizione di Putin si assottigliano. Più delle sanzioni occidentali, è il contro-shock petrolifero a mettere in questione le ambizioni della Russia.
La diplomazia americana ha passato “ai raggi X” il messaggio di auguri di buon anno nuovo che Putin ha mandato a Obama. Vi si legge l’auspicio che le relazioni bilaterali siano «su un piede di parità» nel 2015. Nella versione ottimista, si può interpretare quel messaggio come un S. O. S, la richiesta di un’offerta che salvi la faccia a Putin. E’ la strada che sta esplorando nelle ultime settimane Kerry, nei suoi contatti con Lavrov. Una delle ipotesi allo studio, sarebbe l’eliminazione parziale di alcune sanzioni contro la Russia, in cambio della fine di tutti gli aiuti di Mosca ai ribelli ucraini. Questa mossa non sarebbe più condizionata al ritiro dei russi dalla Crimea. Dunque, Putin incasserebbe una vittoria non trascurabile: per quanto l’annessione della Crimea sia stata condannata come illegale da tutti i paesi della Nato, quest’annessione non impedirebbe che la morsa delle sanzioni venga un po’ allentata. Il dossier Ucraina e il dossier Crimea verrebbero in qualche modo separati. In cambio Putin dovrebbe offrire all’Occidente, oltre alla fine di ogni agitazione secessionista in Ucraina, anche delle contropartite su altri dossier diplomatici che stanno a cuore a Obama, dal nucleare iraniano alla sorte del regime Assad in Siria.
E’ tutto molto fluido. L’Amministrazione Obama dovrà stare attenta a non prendere per buona qualsiasi promessa di Putin, se non vuole subire critiche virulente dal suo Congresso a maggioranza repubblicana.


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