Antipolitica e disagio sociale Il discorso del presidente che spinge per le riforme

Né passatista né immobilista, il nuovo capo dello Stato condivide dunque lo slogan per «cambiare verso» coniato dal premier Matteo Renzi: dopotutto, se ci si riferisce alla discussa riforma del Senato, anche Dossetti, che rientra nel suo pantheon ideale, era a favore del monocameralismo. Ne sostiene insomma le ragioni di fondo, convinto che l’urgenza primaria sia appunto quella di mettere la politica in condizione di intervenire in fretta e con energia per ridurre le difficoltà delle fasce più deboli, piegate dalla crisi.
Non basta. Nel suo messaggio, concepito come un manifesto programmatico della propria missione da capo dello Stato, Mattarella rimarcherà il ruolo di garanzia, da «arbitro attento alla divisione dei poteri», che intende esercitare senza supplenze né forme di direzione politica attiva, aprendo le porte a tutti. Avrà quindi un atteggiamento di «ascolto senza pregiudizi» rispetto alle varie opposizioni, politiche e sociali. E lo dimostrano gli inviti che ha fatto recapitare a Silvio Berlusconi e Beppe Grillo (in quanto leader politici e indipendentemente dalle cariche istituzionali che entrambi non hanno) per la cerimonia al Quirinale.
L’apertura alza il velo su uno spirito di riconciliazione nazionale che ispira le prime mosse del presidente della Repubblica, ma che non gli impedirà di affrontare il controverso tema dell’antipolitica. Questa nasce e lievita — dovrebbe dire più o meno così, davanti alle Camere — a causa degli errori della classe politica, che non ha finora saputo compiere una seria autocritica né autoriformarsi secondo un’indispensabile recupero di «moralità». Un esempio? La sequenza di scandali scoperchiati negli ultimi tempi dalla magistratura tra Roma, Milano e Venezia, che hanno confermato livelli insopportabili di illegalità e addirittura di opache alleanze con la criminalità. Ecco la delegittimazione della politica e delle istituzioni. Ecco la vera genesi dell’antipolitica, con le sue pericolose ricadute di qualunquismo e distacco dalla cosa pubblica. Ecco il bisogno di riconnettere il Paese alle istituzioni, in modo che la speranza possa vincere sulla rassegnazione in uno spirito di unità nazionale, dentro la cornice di un’Europa (oggi minacciata dal terrorismo islamico) che deve svolgere anch’essa una parte in questa ripartenza dell’Italia.
Ora, considerando che un capo dello Stato deve anche farsi percepire alla stregua di un «difensore civico», Sergio Mattarella ha scelto di parlare rivolto quasi più agli italiani che ai partiti. Proiettando le sue aspettative sul futuro con un linguaggio piano e sorvegliato (ma non senza sottigliezze), in un intervento che non dovrebbe superare i trenta minuti. Facile prevedere che il discorso piacerà. Veniamo da vent’anni di vaniloqui politici, nei quali la rincorsa all’insulto e la partigianeria arci-faziosa troppo spesso prevalgono su tutto. Per cui, sì, c’è davvero nostalgia di ragionamenti limpidi e di parole chiare e anti-ansiogene.
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