Condoni edilizi, una beffa lunga 30 anni

Condoni edilizi, una beffa lunga 30 anni

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Un bidone. Nel trentesimo anniversario del primo dei condoni edilizi, varato nel febbraio ’85, i numeri dicono tutto: per incassare in totale poco più di 15 miliardi di euro d’oggi, lo Stato ha poi dovuto spenderne 45 in oneri d’urbanizzazione. Il triplo. Un suicidio economico, urbanistico, morale. Segnato da impegni solennemente ridicoli: «È la fine dell’abusivismo edilizio». Sì, ciao…
Va riletta, l’ Ansa del 21 febbraio 1985. Entusiasta per l’approvazione del Parlamento, Bettino Craxi dettava da Palazzo Chigi una nota esprimendo soddisfazione per la sanatoria e spiegando che avrebbe portato nelle casse statali «circa cinquemila miliardi di lire» e che le misure avrebbero concorso «con efficacia a porre fine al fenomeno dell’abusivismo edilizio, che era divenuto dilagante». Che fosse ormai dilagante è vero: secondo il Cresme (Centro Ricerche Economiche Sociali Mercato Edilizia) l’effetto annuncio di quel primo condono «avrebbe provocato l’insorgere, nel solo biennio 1983/4, di 230.000 manufatti abusivi». Ovvio: i primi proclami furono fatti dal ministro dei Lavori Pubblici Franco Nicolazzi, con la comica minaccia che chi non avesse sanato avrebbe visto apparire le ruspe, nell’ottobre dell’83. «Perché non approfittarne per tirar su una casa nuova da spacciare per già esistente?», si chiesero decine di migliaia di furbi. E cominciarono a costruire.
Nel ‘94, dopo l’annuncio del nuovo condono, di Silvio Berlusconi, replay. Al punto che il sindaco Enzo Bianco, a Catania, ordinò che chi voleva la sanatoria portasse la foto dell’abuso commesso. Molti non l’avevano: la casa abusiva da sanare non esisteva ancora. Del resto, quale rischio correvano gli imbroglioni? Tre anni dopo, avrebbe certificato Legambiente, dei 18.402 casi di abusivismo dichiarati «non sanabili» e quindi da abbattere (3.309 in parchi e riserve, 12.899 in aree protette, 2.194 in territorio demaniale), gli edifici effettivamente abbattuti erano stati 446. Dei quali solo 66 in Campania, Sicilia, Calabria e Puglia, le «regioni canaglia» dell’abusivismo. Sintesi: chi avesse costruito un condominio davanti ai faraglioni di Capri o sulle rovine di Selinunte aveva, dopo l’ordinanza di demolizione (e già quella, campa cavallo!), lo 0,97% di probabilità che arrivasse davvero la ruspa.
E così sarebbe andata anche col terzo condono, quello berlusconiano del 2003. Quando ad esempio, contando sull’ormai accertata e cronica incapacità dello Stato di abbattere le case abusive, Annapia Greco tirò su in poche notti di febbrile lavoro in piena estate, pensando di spacciarla per un vecchio abuso, una villa intera sull’Appia Antica a pochi passi dalla tomba di Cecilia Metella. Finita la villa in prima pagina sul Corriere , la signora parve non capacitarsi di tanto scandalo. Era abusiva? E vabbè… L’avevano già diffidata? E vabbè… Aveva fatto la furba in una delle aree archeologiche più protette del mondo? E vabbè… «Tutta questa pubblicità! Queste cattiverie! Ce l’avete coi ricchi? E che ho fatto mai? Ci ho provato, d’accordo, è andata male, pazienza. Che, me volete crocifigge ?». A farla corta: non solo tutti ma proprio tutti i condoni criminogeni hanno incassato molto meno di quanto pomposamente annunciato, ma hanno contribuito, storicamente, a spingere centinaia di migliaia di imbroglioni a compiere abusi non ancora commessi. Col risultato che nel solo periodo 1982/1997 furono costruite (dati Cresme) 970.000 abitazioni totalmente abusive. E l’andazzo è andato avanti, nella prospettiva che «un giorno o l’altro un altro condono arriverà», al ritmo di almeno 26.000 case abusive l’anno. Con una percentuale di demolizioni (alla fine di un calvario giudiziario) del 10,2%.
Un esempio? Ne scrive nel suo libro appena uscito Le città fallite , l’urbanista Paolo Berdini: «Il 20 ottobre 2009 a Giugliano, comune del Napoletano, la Guardia di Finanza ha sequestrato 98 case e un albergo completamente abusivo localizzato in via Ripuaria, a due passi dalla via Domiziana che conserva ancora basoli romani, in un’area sottoposta a vincoli di natura archeologica. La Finanza scopre foto aeree ritoccate, bollettini postali con date falsate, documenti di pratiche di condono aperti prima della costruzione degli immobili. Un affare da 20 milioni di euro in mano alla camorra legata ai clan Rea, Mallardo e Nuvoletta. Malavita organizzata che usufruirà del provvidenziale quarto condono edilizio. Che, naturalmente, sarà l’ultimo. Come sempre».
Quale «quarto condono»? Quello che sarà varato dopo mille tentativi dalla Regione Campania con la legge 16 del 2014 (impugnata dal governo) per consentire ai furbi di riaprire le antiche pratiche rimaste bloccate dei condoni dell’85 e del ‘94, allargando la sanatoria ad aree ad alto rischio come la zona rossa del Vesuvio.
Valeva la pena di avallare la distruzione di tanta parte del nostro territorio o addirittura di spingere a nuovi abusi tanti italiani sottoposti alla tentazione di violare la legge con la promessa di folli «premi»? E per quale paradossale coincidenza, quel 1985 che vide la prima delle scellerate sanatorie fu anche l’anno del battesimo della legge Galasso, la prima a introdurre una serie di tutele sui beni paesaggistici e ambientali?
Sono i temi sul tavolo, stamattina, di un convegno alla Camera, nell’Auletta dei Gruppi, con alcuni dei massimi esperti di ambiente, territorio, difesa del patrimonio storico e artistico. Da Paolo Maddalena a Salvatore Settis, da Vezio De Lucia a Tomaso Montanari, dagli urbanisti Paolo Pileri e Paolo Berdini a parlamentari impegnati su questi temi come Mario Catania, Ermete Realacci, Claudia Mannino, Massimo De Rosa…
Un dato, comunque, pare ormai assodato. I condoni, finanziariamente, sono stati un harakiri . Basti dire che, grazie alle leggi che generalmente spinsero i furbi a pagare troppo spesso solo i primi acconti (per bloccare le inchieste giudiziarie e gli appiattimenti) gli 8 milioni di italiani che vivono negli oltre due milioni di case interamente abusive hanno pagato di sanzione una pipa di tabacco. Per capirci, se è vero che l’incasso ufficiale complessivo è stato, secondo Legambiente, di 15 miliardi e 334 milioni di euro attuali, ogni furbetto ha pagato mediamente meno di 2.000 euro. Niente, rispetto ai costi caricati sui Comuni.
«Il territorio urbanizzato dall’abusivismo (la cui densità è più bassa delle aree di normale lottizzazione) è pari a circa 50 mila ettari», spiega Berdini. «Per urbanizzare ogni ettaro con le opere indispensabili (fognature, acquedotti, strade, reti elettriche e telefoniche) ci vogliono in media 600 mila euro. Più le spese per le opere di urbanizzazione “sociali”, cioè scuole, sanità e così via, che costano altri 300 mila euro ad ettaro». Totale: 900 mila euro ad ettaro completamente urbanizzato a spese dello Stato.
Insomma, per sistemare il territorio agli abusivi abbiamo speso 45 miliardi di euro. Caricati sulle spalle di quella grande maggioranza di cittadini che quegli abusi non li hanno mai fatti.
Gian Antonio Stella


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