Il rischio crac passa dalle banche agli Stati Il debito con l’Italia? È cresciuto del 500%

Ma in cinque anni sono cambiati anche i pesi delle diverse nazioni creditrici. La ricostruzione Paese per Paese — riportata dal «Sole 24 Ore» sulla base di dati della Banca dei regolamenti internazionali — vede l’esposizione degli istituti tedeschi crollare dai 45 miliardi del 2009 ai 13,5 miliardi del 2014. Ancora più giù le banche francesi: da 79 a 2 miliardi. Quelle italiane sono passate da 7 a un miliardo. Sono invece cresciuti in misura diversa i crediti statali: tutti partiti da quota zero, Berlino è arrivata a 62 miliardi, Parigi a 46,5 miliardi e Roma a 41 miliardi. È l’effetto del peso dei singoli Stati all’interno delle istituzioni pubbliche creditrici: perché i saldi nazionali, oltre i finanziamenti bilaterali, includono le garanzie statali al fondo di salvataggio Efsf e il pro quota dei titoli greci comprati dalla Banca centrale europea.
Così, nel passaggio dalle banche ai bilanci pubblici, la metamorfosi del debito greco è stata anche nazionale. L’esposizione francese è scesa da 79 a 48,5 miliardi, quella italiana è cresciuta da 7 a 42 miliardi (+500%). In salita (ma meno) anche il credito tedesco: da 45 a 75,5 miliardi (+68%).
Ma la Germania può «consolarsi» su altri versanti. Come il cambio: quello fisso nell’Eurozona ha sganciato l’export tedesco dall’«handicap» del marco forte. E, verso il resto del mondo, il deprezzamento dell’euro è un assist più per Berlino che per Roma (i tedeschi esportano extra euro più degli italiani). Aiuta la Germania anche il piano Bce di acquisti di titoli di Stato: il 92% dei rischi pesa sulle singole banche centrali, ma i rendimenti, per lo statuto di Francoforte, sono ripartiti fra le Authority nazionali «in proporzione alle quote versate di capitale Bce». Per la Germania, se compra titoli nazionali, questo vuol dire pochi rischi, ma una discreta fetta delle più alte cedole dei Paesi del Sud. Come l’Italia, cui resta l’assist europeo dei tassi comunque bassi per finanziarsi. Almeno per ora.
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Il lavoro da difendere, il lavoro da cercare, il lavoro da stabilizzare, il lavoro per dare futuro e certezza a donne, uomini, giovani e non più giovani. Dovrebbe essere un concetto banale, invece soloproporre il tema come priorità è obiettivo tutt’altro che scontato. In sostanza possiamo dire che la crisi, la grande crisi del mondo, quella ignorata per tre anni dal governo appena “uscito” e sottovalutata dal duo Francia – Germania in Europa, è crisi figlia dell’aver spostato dal lavoro alla finanza, dall’eguaglianza alla diseguaglianza le finalità del “mercato”, se è questo: la scelta dovrebbe essere netta ed evidente, riportare al centro il lavoro; il lavoro produttore di ricchezza, non il denaro. All’esploderedella crisi l’invocazione diffusa era riproporre il governo politico economico del mercato, le regole.
Se rinunciamo a spendere e investire