Libia, l’Is fa paura all’Italia “Siamo a sud di Roma” Minacce a una motovedetta

Libia, l’Is fa paura all’Italia “Siamo a sud di Roma” Minacce a una motovedetta

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ROMA . Ventuno giovani cristiani sgozzati in fila sulle rive del Mediterraneo, eccolo il «messaggio ai crociati» lanciato ieri in Libia in un video dello Stato islamico. «Ci avete visti in Siria, ma noi adesso siamo qui, a Sud di Roma», dice il capo dei boia, l’unico in mimetica, ordinando a decine di miliziani in tuta nera di decapitare i lavoratori egiziani rapiti nei mesi scorsi. Le vittime, allineate sulla battigia davanti a una telecamera, indossano tute arancioni. Quando gli islamisti affondano il coltello, le acque che s’infrangono placide si tingono di rosso cupo come mosto: «Avete buttato il corpo di Bin Laden in mare, mischieremo il suo sangue con il vostro. La salvezza per voi è un miraggio: ci combattete tutti insieme? E noi, insieme, vi prenderemo di mira», dice il capo. In Oriente come in Occidente.
La risposta del presidente egiziano, Al Sisi, è durissima: siamo pronti a mobilitare i riservisti, annuncia. Ma l’ultimo orrore dal fronte dell’Is, il video di cinque minuti diffuso ieri, è anche il più vicino mai scagliato contro l’Italia. Caduta Sirte, le bandiere nere dello Stato islamico sventolano a poche centinaia di chilometri dalla capitale Tripoli, e l’Italia se ne va. Ammainata «temporaneamente » la bandiera tricolore, da ieri mattina persino l’ambasciata italiana è deserta, e in tutto il Paese non restano che un centinaio di temerari. Anche soccorrere i migranti è diventato molto pericoloso, come ha scoperto ieri una motovedetta della Guardia Costiera italiana giunta a cinquanta miglia dalle coste libiche per farlo: accostata da un barchino con quattro scafisti armati di kalashnikov, dopo aver preso a bordo i migranti è stata costretta a restituire il barcone e ad allontanarsi.
La situazione è sempre più difficile, dopo l’annuncio del «ministro crociato» Paolo Gentiloni di una disponibilità italiana a «combattere il terrorismo nel quadro di una missione Onu», interviene il premier Matteo Renzi: «Da mesi denunciamo la situazione in Libia, chiedendo che sia considerata una priorità per tutti, non solo in Europa e non solo per l’Italia». Parlando con i suoi, Renzi sottolinea che c’è bisogno di responsabilità: «La priorità è sostenere e raddoppiare gli sforzi dell’Onu in senso politico e diplomatico, su questo l’Italia é pronta a fare la propria parte». È questa la strada che Roma è intenzionata a percorrere.
Una posizione che stempera le parole del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, secondo cui l’Italia è pronta a contribuire con oltre cinquemila uomini e a guidare una coalizione di Paesi europei e nordafricani. Si avvicina piuttosto a quella di Sel, che dice «sì all’Onu, ma prima serve la diplomazia ». E se il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, offre un appoggio al governo in un’eventuale azione militare, opzione da «prendere in seria considerazione », i Cinque stelle avvertono che «con le bombe si peggiorerebbe la situazione».
Ieri sera, intanto, a bordo di un catamarano commerciale rapido e capiente noleggiato in tutta fretta a Malta dal governo, la Farnesina ha riportato a casa gli im- piegati e i diplomatici dell’ambasciata di Tripoli; e con loro tutti i connazionali che hanno risposto all’ennesimo «pressante invito» a lasciare il Paese, divenuto troppo pericoloso. «Nessuna evacuazione », dice la Farnesina, ma «un’operazione preannunciata di alleggerimento» della storica presenza italiana. Salpato in mattinata a Tripoli sotto gli occhi vigili di un drone “Predator” dell’Aeronautica, il catamarano maltese San Gwann ha attraccato nella notte ad Augusta, in Sicilia.
L’ambasciata italiana era l’ultima rimasta aperta tra quelle delle grandi democrazie occidentali, e sarebbe stata un bersaglio simbolico perfetto per gli islamisti. Per questo i Servizi hanno consigliato di chiudere, e subito. Con il personale diplomatico sono partite decine di tecnici italiani. Anche l’Eni, nonostante i pozzi attivi e a pieno servizio, ha ridotto a zero la presenza di personale italiano sulla terraferma.


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