Por­to­gallo: il governo Coelho peggio di Merkel

by redazione | 27 Febbraio 2015 18:17

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Uno degli effetti secon­dari e ina­spet­tati della vit­to­ria di Syriza è stato sicu­ra­mente quello di avere sve­lato chi fos­sero e quanti fos­sero i par­ti­giani dello sta­tus quo. Ha obbli­gato cioè tutti a pren­dere una posi­zione netta che andasse al di là dell’opacità con cui in Europa ven­gono prese le decisioni.

Dalle neb­bie dell’ultimo con­si­glio euro­peo è infatti emerso un con­senso intorno alle poli­ti­che auste­ri­ta­rie deci­sa­mente mag­giore di non quanto molti si sareb­bero aspet­tati. L’interpretazione fino a qui pre­pon­de­rante è stata quella in cui a un nord intran­si­gente si oppo­neva un sud che supi­na­mente doveva subirne i dik­tat. E invece nei giorni scorsi la resi­stenza al nuovo spi­rito di Atene è stata forte ovun­que, ma è in Por­to­gallo che, pro­ba­bil­mente, il fana­ti­smo troi­ki­sta ha rag­giunto livelli parossistici.

Rica­pi­to­lando: lo scorso venerdì 20 feb­braio, nei momenti più deli­cati e caldi della trat­ta­tiva tra la Gre­cia e l’Eurogruppo, Lisbona si schiera con­vin­ta­mente dalla parte dei fal­chi. Il gior­nale Die Welt rivela come la mini­stra delle finanze por­to­ghese Maria Luís Albu­quer­que abbia per­so­nal­mente chie­sto al suo omo­logo tede­sco Wol­fgang Schäu­ble fer­mezza. La tele­vi­sione greca Skai Tv rife­ri­sce poi come Spa­gna e Por­to­gallo abbiano fatto forti pres­sioni affin­ché un accordo in cui si acco­gliesse i nuovi orien­ta­menti del governo greco venisse bloccato.

Yanis Varou­fa­kis durante la con­fe­renza stampa che segue la riu­nione dell’Eurogruppo cerca di met­tere acqua sul fuoco per stem­pe­rare ten­sioni sem­pre più inge­sti­bili, così, quando un gior­na­li­sta gli chiede cosa pen­sasse delle posi­zioni assunte dagli ese­cu­tivi ibe­rici, si limita a rispon­dere che non con­cor­dava ma che tut­ta­via cer­cava di capirne le moti­va­zioni. I toni diplo­ma­tici durano poco per­ché Varou­fa­kis, pochi minuti dopo, non accor­gen­dosi che i micro­foni della tele­vi­sione pub­blica por­to­ghese erano ancora accesi, com­menta stiz­zito: «Spa­gna e Por­to­gallo vogliono mostrarsi più tede­schi dei tedeschi».

Ad avva­lo­rare la tesi del «con­senso» intorno alle poli­ti­che auste­ri­ta­rie uno stu­dio pub­bli­cato recen­te­mente da Cathe­rine Moury — ricer­ca­trice in scienza poli­tica all’Università Nova di Lisbona – rela­tivo ai pro­cessi di nego­zia­zione del bai­lout del 2011. Basato su 28 inter­vi­ste a mini­stri, o ex, e sot­to­se­gre­tari, Moury evi­den­zia come il rap­porto tra la Troika (Fmi, Ue, Bce) e il Por­to­gallo sia stato tutt’altro che impron­tato alla sud­di­tanza dell’uno sull’altro ma che anzi ci sia stato tra i due una sostan­ziale visione su ciò che fosse neces­sa­rio fare per «met­tere i conti a posto».

Fon­da­men­tal­mente lo stato di ecce­zione che si è venuto a creare con la firma del Memo­ran­dum ha rap­pre­sen­tato un’opportunità che ha per­messo di adot­tare prov­ve­di­menti che in un con­te­sto nor­male, non avreb­bero mai potuto essere appro­vati. A con­ferma, anche alcuni com­menti di Antó­nio Lobo Xavier — ex depu­tato del Cen­tro Demo­crata Social, uno dei due par­titi ora al governo –il quale ha dichia­rato come nella pri­ma­vera del 2011 il cen­tro­de­stra avesse fatto pres­sioni affin­ché una riot­tosa Angela Mer­kel accet­tasse di «imporre» al Por­to­gallo un inter­vento simile a quello appro­vato un anno prima in Grecia.

Che l’intervento della Troika sia stato non solo auspi­cato, ma anche favo­rito e con­di­viso dalle élite lusi­tane, o almeno da una parte di que­ste, non vi sono dubbi, così come non vi sono dubbi che in tutti i con­sessi il governo gui­dato da Pedro Pas­sos Coe­lho abbia man­te­nuto un atteg­gia­mento di chiu­sura a qual­siasi tipo di inno­va­zione. In que­sto senso la que­stione della vio­la­zione della sovra­nità nazio­nale e di una sup­po­sta dico­to­mia stato/Europa e nord/sud appare come un pro­blema mal posto.

Que­ste spie­ga­zioni ten­dono ad assu­mere un carat­tere autoas­so­lu­to­rio e vaga­mente nazio­na­li­stico nelle quali poi si omette quella che sem­bra essere la vera chiave di let­tura e cioè quella basata su di un con­flitto tutto ideo­lo­gico e asso­lu­ta­mente non geo­gra­fico. Ripren­dendo una cate­go­ria che oggi molti vor­reb­bero desueta, è evi­dente come ci si trovi di fronte a uno scon­tro che oppone una sini­stra ugua­li­ta­ria a un uni­verso poli­tico pre­do­mi­nan­te­mente con­vinto dell’efficacia delle poli­ti­che di tagli.

Vista sotto que­sta luce la por­tata rivo­lu­zio­na­ria della vit­to­ria di Ale­xis Tsi­pras è dirom­pente per­ché mostra come il pro­blema non siano le poli­ti­che di bilan­cio in sé, ma anche come i cari­chi di bilan­cio ven­gono distri­buiti. Que­sto è cer­ta­mente l’aspetto che risulta meno dige­ri­bile al governo Pas­sos Coe­lho che per anni ha negato che altre vie fos­sero pra­ti­ca­bili a meno di non volere uscire dall’Euro e pre­ci­pi­tare ine­vi­ta­bil­mente verso il baratro.

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