Sud Sudan Migliaia in fuga dalla guerra Soltanto 4 mesi per salvarli

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Una catastrofe umanitaria tra le peggiori al mondo si sta consumando in sordina, lontano dagli occhi del mondo, nel più giovane Stato della Terra, il Sud Sudan. Sono due milioni e mezzo gli sfollati, in fuga da una feroce guerra civile con nessun porto franco. Migliaia i profughi massacrati anche nei posti dove avevano cercato rifugio: il campo Onu, chiese, moschee. La metà dei suoi 8 milioni di abitanti sono oggi a rischio fame e malattie, 50 mila bambini potrebbero morire per mancanza di cibo prima della fine dell’anno. Una crisi umanitaria tra le peggiori al mondo, classificata dall’Onu come «livello 3», lo stesso di quella siriana: eppure non è tra le priorità della comunità internazionale, meno interessante da un punto di vista economico e strategico rispetto a conflitti come quello in Ucraina. L’allarme è stato lanciato da tutte le ong sul campo, da Intersos a Medici senza Frontiere.
È la logistica la maggiore preoccupazione dei soccorritori. I «bisogni sono tanti e i tempi strettissimi — spiega George Fominyen, portavoce a Juba del Programma alimentare mondiale— Le riserve alimentari devono essere predisposte nei prossimi 4 mesi perché poi ripartono le piogge e il Paese diventerà di nuovo impraticabile».
Un Paese al collasso. A due anni dall’indipendenza, ottenuta nel 2011 dopo un conflitto ventennale ingaggiato per separarsi dal nord, è iniziata una guerra di potere tra il presidente Kiir e il ex suo vice Riek Machar che ha riaperto antiche divisioni etniche tra Dinka e Nuer, alimentate dalla lotta per il petrolio di cui la regione è ricca. Non deve illudere il nuovo piano di pace firmato lunedì scorso ad Addis Abeba con la mediazione dell’Igad (l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo). Primo, perché i due leader non hanno ancora raggiunto un accordo su come condividere il potere nel periodo di transizione: una nuova tornata di colloqui inizierà il 14 febbraio. Secondo, perché ci sono già state tre intese che sono diventate presto carta straccia. Scettico il segretario dell’Onu Ban Ki-moon: «Il Sud Sudan non avrà pace finché il presidente Kiir e il leader dei ribelli Riek Machar non metteranno i bisogni dei civili davanti ai propri». Detta con il vignettista Khalid Albaih: «La gente del Sud Sudan soffre la fame mentre il governo compra armi del valore di 14,5 milioni di dollari dalla Cina».
Alessandra Muglia
Un Paese al collasso. A due anni dall’indipendenza, ottenuta nel 2011 dopo un conflitto ventennale ingaggiato per separarsi dal nord, è iniziata una guerra di potere tra il presidente Kiir e il ex suo vice Riek Machar che ha riaperto antiche divisioni etniche tra Dinka e Nuer, alimentate dalla lotta per il petrolio di cui la regione è ricca. Non deve illudere il nuovo piano di pace firmato lunedì scorso ad Addis Abeba con la mediazione dell’Igad (l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo). Primo, perché i due leader non hanno ancora raggiunto un accordo su come condividere il potere nel periodo di transizione: una nuova tornata di colloqui inizierà il 14 febbraio. Secondo, perché ci sono già state tre intese che sono diventate presto carta straccia. Scettico il segretario dell’Onu Ban Ki-moon: «Il Sud Sudan non avrà pace finché il presidente Kiir e il leader dei ribelli Riek Machar non metteranno i bisogni dei civili davanti ai propri». Detta con il vignettista Khalid Albaih: «La gente del Sud Sudan soffre la fame mentre il governo compra armi del valore di 14,5 milioni di dollari dalla Cina».
Alessandra Muglia
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