Acqua privata, Bruxelles ci prova

Acqua privata, Bruxelles ci prova

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Si chiude oggi a Bru­xel­les la Con­fe­renza euro­pea dell’Acqua. Il Forum ita­liano dei movi­menti e la Rete euro­pea erano ieri in sit in davanti al par­la­mento per pro­te­stare, poi­ché dalla mani­fe­sta­zione, che riu­ni­sce isti­tu­zioni e mul­ti­na­zio­nali, sono state escluse le realtà sociali e l’Ice — Euro­pean citi­zens ini­tia­tive, che nel 2013 ha rac­colto oltre 1 milione e 800 mila firme per pro­porre alla Com­mis­sione euro­pea un prov­ve­di­mento legi­sla­tivo basato su tre punti: rico­no­scere l’accesso all’acqua da bere e per i ser­vizi igie­nici come bene dell’umanità; esclu­derlo dalle «norme del mer­cato interno» e dalle libe­ra­liz­za­zioni; sot­trarre la mate­ria dai trat­tati internazionali.

La norma è stata discussa nel par­la­mento euro­peo a marzo 2014 e poi è spa­rita dall’agenda. «La com­mis­sione ci ha rispo­sto – rac­conta Cor­rado Oddi del Forum ita­liano — che il prin­ci­pio andava bene ma non toc­cava all’Ue legi­fe­rare in mate­ria di con­cor­renza e pri­va­tiz­za­zioni, a dif­fe­renza di quanto ci ripe­tono i governi ita­liani, e che per i trat­tati occor­reva fare atten­zione. Poi però nel Ttip – il Trat­tato tran­sa­tlan­tico sul com­mer­cio si parla anche di risorse idri­che. L’intenzione della Rete euro­pea è tor­nare a fare pres­sione sul par­la­mento che si è inse­diato l’anno scorso per­ché ci dia risposte».

In Ita­lia la vit­to­ria ai refe­ren­dum del 2011 aveva san­cito la volontà di por­tare l’acqua fuori da logi­che di pro­fitto e di mer­cato ma la resi­stenza degli enti locali ha aperto la strada alle nuove ini­zia­tive del governo Renzi che, di fatto, vanno nella dire­zione oppo­sta: l’esecutivo infatti sta uti­liz­zando una serie di stru­menti per favo­rire pro­cessi di fusione e aggre­ga­zione tra aziende che gesti­scono i ser­vizi pub­blici locali (tra cui anche l’acqua) con­se­gnan­doli ai pri­vati, obiet­tivo per­se­guito senza mai dichia­rarlo aper­ta­mente. Il taglio di risorse che costan­te­mente sof­foca gli enti è l’arma per costrin­gerli ad accet­tare que­sto tipo di misure. Il primo passo è stato il piano sulla Spen­ding review che punta al taglio delle società par­te­ci­pate dagli enti locali, seguendo lo slo­gan «ridu­zione da 8mila a mille».

Poi c’è stato il decreto Sblocca Ita­lia: gli arti­coli dedi­cati al ser­vi­zio idrico pre­ve­dono la crea­zione di un gestore unico regio­nale, se si sce­glie di avere degli ambiti ter­ri­to­riali devono cor­ri­spon­dere alle pro­vince o città metro­po­li­tane. Un mec­ca­ni­smo che non tiene conto dei bacini idrici natu­rali e, soprat­tutto, induce le realtà più pic­cole (e spesso pub­bli­che) ad essere divo­rate dalle grandi mul­tiu­ti­li­ties come Acea, Hera, Iren, A2A. «L’esecutivo – pro­se­gue Oddi – punta a creare un oli­go­po­lio: Iren in Pie­monte, Ligu­ria e nell’area nord dell’Emilia; A2A in Lom­bar­dia; Hera nel resto dell’Emilia Roma­gna, Padova e Trie­ste; ad Acea il cen­tro Ita­lia con Toscana, Lazio e Cam­pa­nia. Il comune di Bolo­gna e le altre ammi­ni­stra­zioni faranno scen­dere la loro quota in Hera dal 51 al 35%, come voleva il decreto Ron­chi abo­lito dai refe­ren­dum. Il modello Hera pre­vede la divi­sione degli utili come una varia­bile indi­pen­dente, così si accu­mula un disa­vanzo che viene coperto dalle bol­lette o dal sistema cre­di­ti­zio. Già oggi l’indebitamento ha rag­giunto un livello non più soste­ni­bile». Il governo però amplierà il loro giro di affari e Cassa depo­siti e pre­stiti ha già pronti 500milioni per finan­ziare le fusioni.

Ad Acea la gestione dell’acqua di gran parte del cen­tro Ita­lia. In Cam­pa­nia la mul­tiu­ti­lity di Cal­ta­gi­rone ha già un piede nell’area Sarnese-Vesuviana, la legge regio­nale in discus­sione potrebbe asse­gnarli il resto della torta. Il con­si­glio comu­nale di Napoli ha appro­vato la deli­bera che asse­gna la gestione all’azienda spe­ciale pub­blica Abc per cer­care di bloc­care l’operazione di occu­pa­zione da parte di Acea. La norma regio­nale però potrebbe met­tere le com­pe­tenze di più di 500 comuni nelle mani di 12 sin­daci all’interno del con­si­glio di indi­rizzo, da cui però sono escluse le città metro­po­li­tane cioè il comune par­te­no­peo e l’Abc.

La legge di sta­bi­lità dà un’ulteriore spinta: quanto incas­sato dagli Enti Locali per la ven­dita delle quote delle società par­te­ci­pate può essere speso al di fuori del patto di sta­bi­lità. E poi c’è il ddl Madia in discus­sione al Senato sulla riforma della pub­blica ammi­ni­stra­zione: «Pra­ti­ca­mente è il Job act appli­cato ai ser­vizi pub­blici – spiega Simona Savini del Forum ita­liano dei movi­menti per l’acqua – cioè un decreto con norme gene­rali che dà una delega in bianco al governo per disci­pli­nare una mate­ria fon­da­men­tale, sot­tratta al par­la­mento. I prin­cipi che richiama sono una ulte­riore spinta verso le fusioni. Del resto la stessa Con­fin­du­stria ha più volte detto che sono pas­sati quat­tro anni dal refe­ren­dum, è tempo che il governo ci metta mano. Lo stanno facendo».

Intanto che l’esecutivo pro­duce le norme, si è mossa l’Autorità per l’energia elet­trica, il gas e il sistema idrico che ha messo a punto un nuovo metodo tarif­fa­rio che, di fatto, rein­se­ri­sce la remu­ne­ra­zione del capi­tale inve­stito con­sen­tendo ai gestori di aumen­tare i gua­da­gni ma facendo anche salire i costi per gli utenti. Solo nel 2013 le tariffe sono cre­sciute del 7,4%, negli ultimi 10 anni dell’85%.



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