Caccia al wi-fi nelle vie dell’Avana Revolución è vivere «connessi»

Cuba ha fame. Non più di cibo, come fu negli anni del «periodo speciale» che seguirono il crollo dell’Urss. E neppure di Coca Cola e sneakers americane, un tempo vietate al popolo della Revolución. Ha fame di Internet, al quale ha accesso solo il 5% della popolazione (e appena l’1% in banda larga). Colpa, secondo la versione ufficiale, dell’embargo Usa, che finora ha impedito l’importazione della tecnologia necessaria.
Lo Stato stabilisce a chi concedere il privilegio dell’accesso: funzionari, università, giornalisti e artisti fedeli agli ideali rivoluzionari, e 140 sale di navigazione pubbliche. Qualcosa, però, sta cambiando. A Cuba si va formando un’avanguardia di classe media: lavoratori autonomi – i cuentapropistas – o soci di cooperative, che, con la benedizione del presidente Raul Castro, hanno creato una costellazione di microimprese private, specie nella ristorazione. Sono loro e i giovani a soffrire più di altri la fatica di sentirsi desconnectados .
Obama ha promesso di sbloccare l’esportazione di alta tecnologia e all’Avana è appena passata una delegazione di esperti Usa in telecomunicazioni, nell’ambito dei negoziati avviati in dicembre fra i due Paesi. Il boom internettiano non sarà per domani, ma se il disgelo prosegue Cuba non avrà più scuse per negarsi alla Rete.
All’incrocio della 19esima strada con M, al Vedado, ci sono lunghe code fuori dal Centro multiservizi di Etecsa, l’unico operatore (statale) di telecomunicazioni. Giovani, adulti, anziani in attesa, disordinatamente, del proprio turno. Teresa dai capelli bianchi racconta che è lì per comprare l’ultima offerta: una carta sim con 30 pesos di ricarica; Luis aspetta che si liberi una postazione: «Costa 4,50 Cuc al minuto, una settimana di stipendio in pesos (a Cuba sussistono due valute, che il governo ha annunciato di voler unificare: il Cuc si cambia alla pari col dollaro; il peso vale circa 1/24 di Cuc, ndr )».
Nel Paese non esiste ancora il 3G per accedere ad internet con i cellulari. Così parte la caccia al wi-fi. All’Hotel Nacional, che ha ospitato il luccicante jet set pre-rivoluzionario, hanno chiuso le porte del business center agli esterni. «Era diventato un inferno, si ammassavano sui divani», spiega la hostess, alle prese con una manciata di clienti americani, tornati «finalmente» a fare affari. I giovani si sono spostati fuori dall’Habana Libre, telefonino in pugno, a «craccare» i codici dell’hotel. I cubani sono maestri nell’arte del resolver , che permette nella penuria di trovare una soluzione, in quell’area grigia tra legalità e illegalità su cui l’autorità spesso chiude un occhio. Al mercato nero si trova di tutto, perfino la connessione. L’intellettuale Marisela acquista ore di navigazione da un amico, che le fa usare la linea dell’azienda per cui lavora, nel cuore della notte. «Non più di un’ora per volta», spiega. «Com’è possibile fare cultura così?». Con un dollaro a settimana, invece, si compra il paquete , una scheda Usb dove sono scaricati film e serie tv appena usciti in Usa. Piratati. E’ l’ennesima contraddizione di un Paese «disconnesso» dove però fioriscono i blog, come Cafè fuerte , El blog de Yoandri , oltre alla rivista online della dissidente Yoani Sanchez, 14ymedio . «Cuba ha già realizzato la maggiore rivoluzione: insegnare a leggere e scrivere a tutti i suoi cittadini, cioé a pensare con la propria testa. Non esiste più alcun limite dal punto di vista politico o ideologico che impedisca l’accesso ha internet», ha dichiarato Ernesto Rodriguez, del ministero delle Comunicazioni,al giornale ufficiale Juventud Rebelde .
La Fabrica de Arte, tra il Vedado e Miramar, è uno dei locali più alla moda dell’Avana. Galleria d’arte, sala da concerti, disco-bar, quasi ogni sera si riempie di giovani in grado di pagare 2 Cuc per l’entrata. «Offriremmo anche il wi-fi, ma l’Adsl che ci ha assegnato lo Stato si bloccherebbe subito», dicono i gestori.
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