Cruz, il «falco» amato dai Tea Party apre la corsa alla Casa Bianca

Cruz, il «falco» amato dai Tea Party apre la corsa alla Casa Bianca

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 NEW YORK «Sono cubano, irlandese e italiano. E, non si sa come, sono diventato un Southern Baptist», cioè un cristiano battista ultraconservatore: la biografia più stringata se l’è scritta da solo Ted Cruz, il senatore repubblicano del Texas con la cui candidatura alle presidenziali del 2016, formalizzata ieri, si è aperta ufficialmente la campagna per la successione a Barack Obama.
Molti prendono sottogamba questo folletto della politica americana, bestia nera dei democratici, ma anche bastian contrario che ha fatto spesso impazzire i capi del suo stesso partito. Come quando, nel settembre 2013, trascinò i repubblicani in una sorta di ricatto politico: stop ai fondi per le amministrazioni federali, se Obama non avesse rinunciato a pezzi importanti della sua riforma sanitaria. Il risultato — una serrata di 16 giorni del governo — fu disastroso per l’immagine dei repubblicani. Ma Cruz, che accese la miccia con un’azione da primatista del filibustering , parlando in Senato per ben 21 ore consecutive, divenne istantaneamente l’eroe dei conservatori d’America e soprattutto dei Tea Party, dei quali è il candidato più in vista.
Se guardi l’agenda politica di Cruz — antiabortista, anti matrimoni gay, anti statalista, a favore della piena libertà di armarsi — puoi pensare di liquidare questo senatore 44enne come uno dei vari conservatori tradizionalisti che pescano voti nel bacino della destra religiosa integralista: una minoranza importante in America, ma pur sempre una minoranza, fatta soprattutto di gente con la pelle e i capelli bianchi. Be’, non è esattamente così. Non a caso per annunciare la sua candidatura Cruz ha scelto il campus della Liberty di Lynchburg in Virginia, considerata l’università cristiana più grande del mondo, ma anche l’ateneo più conservatore e integralista d’America: i suoi studenti devono sottoscrivere un codice d’onore che comprende, tra l’altro, l’impegno a non vedere film vietati ai minori, a non andare a feste danzanti e a evitare il gioco d’azzardo.
Cruz ha galvanizzato la platea degli studenti conservatori, ma le sue doti oratorie sono tali che il senatore texano ha già convinto anche molti ispanici a diventare feroci avversari della sanatoria proposta dalla Casa Bianca per i loro fratelli di sangue immigrati clandestinamente negli Stati Uniti. Ted è un abile oratore, ma è anche molto moderno nel modo di comunicare. Sa che, prima di poter sfidare un candidato repubblicano mainstream come Jeb Bush, dovrà vedersela con gli altri ultraconservatori come Santorum, Huckabee e Rand Paul. Così sta già battendo tutti i media: prima un tweet, poi la coreografia del campus che lo osanna per le televisioni, infine le interviste a giornali e siti.
Politicamente Ted è lontano anni luce da Obama, ma il discorso col quale si è presentato all’America ricalca la narrativa scelta da Barack per la campagna 2008: la storia di una famiglia che ha conquistato coi sacrifici il «sogno americano» e di un figlio che, partendo da una condizione sociale umile, è riuscito ad emergere fino a poter diventare il primo presidente nero d’America. Simile il copione di Cruz: il padre cubano oppositore di Batista, ma anche dei guerriglieri castristi, fuggito dall’isola nel 1957: «Mi ha insegnato il valore della libertà, quanto è fragile, quanto è facile perderla». E poi la madre, figlia di genitori irlandesi e italiani, nata in Delaware: la prima della famiglia ad andare al college. Laureata in matematica, è stata una pioniera della programmazione dei computer.
Ted — doppia laurea a Princeton e ad Harvard — ha preso da lei la voglia di studiare, la tenacia e anche la possibilità di candidarsi per la Casa Bianca. In teoria non potrebbe perché è nato fuori dagli Usa (a Calgary, in Canada) quando il padre non era ancora naturalizzato americano. L’ha salvato la mamma, statunitense dalla nascita. Un outsider , certo, ma da non sottovalutare.
Massimo Gaggi


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