La coalizione di Landini sfida Renzi Prima mossa: i referendum sui diritti
La strategia del leader spiegata nell’incontro (a porte chiuse). Si parte dal Jobs act
Poi, quando ripete a favore di telecamera, sceglie un tono altrettanto netto ma un po’ più ecumenico. Parla di «discussione inclusiva», dice che «vogliamo unire tutto ciò che il governo sta dividendo». Aggiunge che «bisogna rinnovare il sindacato contro chi lo vuole cancellare» e torna a smentire l’idea di voler fondare un partito: «Non conosco questa parola. Chiedetelo a Speranza (capogruppo Pd alla Camera, ndr ), è lui che fa politica. Noi facciamo sindacato». Ma la risposta gli arriverà più tardi dal vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerrini: «Si conferma che l’opposizione di questi mesi era più politica che sindacale».
L’avversario di Landini non tanto è la sinistra Pd, e nemmeno quella indefinita galassia a sinistra del partito. Per ora i suoi sforzi si concentrano proprio sul governo e i renziani: «Vorrei ricordare — scandisce e stavolta si sente bene — che siamo di fronte a una novità assoluta: non era mai successo che il governo cancellasse dei diritti senza un confronto con i sindacati e le persone interessate». Il punto è proprio questo. Perché la coalizione sociale proseguirà i suoi lavori con il solito metodo dei tavoli per arrivare ad una proposta sui singoli temi, dalla scuola all’ambiente. Ma il cuore di tutto è il lavoro: «È il tema più trasversale, perché riguarda tutti e perché non si parla solo di regole, di decreti e di Jobs act , ma della vita delle persone. La qualità del lavoro è la condizione per gli altri diritti di cittadinanza». La raccolta di firme per il referendum abrogativo sul Jobs act non solo è una certezza. Ma potrebbe diventare la prima di una serie che toccherebbe altri temi. Fare politica ma fuori dal Parlamento. Non a caso tra le associazioni invitate ci sono anche i promotori del referendum (vinto e archiviato) sull’acqua pubblica. «È chiaro che se nelle Camere nessuno ci ascolta quella è una strada», chiarisce Landini.
Anche per questo le porte restano chiuse a chi ha incarichi politici. Anche per i parlamentari ex Movimento 5 stelle: nella sede di Fiom si presentano Laura Bencini, Maria Mussini e Maurizio Romani. Ma dopo meno di due ore lasciano la sala, invitati ad uscire proprio per rispettare il «divieto». Quelli di Sel, che tanto volevano esserci, evitano di farsi vedere. Si affaccia qualche ex, come Alfonso Gianni, un passato in Rifondazione. Ma è solo un attimo. Almeno in prima linea Landini non vuole la vecchia sinistra Arcobaleno. Anche se sociale, coalizione fa sempre rima con rottamazione.
Lorenzo Salvia
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