Le parate della discordia 70 anni dopo Pechino e Mosca irritano l’Occidente

Le parate della discordia 70 anni dopo Pechino e Mosca irritano l’Occidente

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PECHINO La Marina giapponese ha preso in consegna ieri la nave più grande della sua flotta dai tempi della Seconda guerra mondiale. La «Izumo», lunga 248 metri, costata un miliardo di dollari, è un caccia portaelicotteri nella definizione ufficiale di Tokyo. Ma il suo ponte può permettere di lanciare anche gli apparecchi Bell Boeing V-22 Osprey, che decollano in verticale come un elicottero e poi volano come un aereo ad ala fissa. Secondo cinesi e sudcoreani la «Izumo» è una «portaerei camuffata».
La distinzione non è di poco conto, perché la costituzione pacifista scritta sotto supervisione americana dopo la disfatta nella Seconda guerra mondiale vieta al Giappone la partecipazione a conflitti armati e la proiezione di forze all’estero. Gli esperti militari sono divisi sulle reali capacità operative della nuova ammiraglia giapponese: un’unità destinata alla sorveglianza delle coste e ai soccorsi umanitari o una nave da guerra che imbarca anche 500 fanti di marina pronti a salire sugli Osprey? Il pensiero va inevitabilmente alla contesa sulle isole Senkaku, controllate dal Giappone e rivendicate dalla Cina come Diaoyu.
In Asia bisogna fare i conti con i simboli e la memoria del passato. Quest’anno cadono i 70 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e russi e cinesi hanno annunciato l’organizzazione di due grandi parate: a Mosca il 9 maggio per la vittoria sulla Germania nazista e a Pechino il 3 settembre per la disfatta del Giappone imperialista nel teatro del Pacifico.
I due appuntamenti hanno tutte le caratteristiche di una sfida di potenza diplomatica. L’avventura di Vladimir Putin in Ucraina ha già fatto decidere alla Casa Bianca e alla maggior parte dei capi di governo europei di disertare la Piazza Rossa, anche se poi la cancelliera Merkel il 10 andrà con Putin a deporre una corona al Milite Ignoto russo. Come al solito l’Europa si muove in ordine sparso: si discute ancora sull’opportunità di far partecipare gli attaché militari dell’Unione in borghese invece che in uniforme. Tra i 26 leader che assisteranno alla sfilata il maresciallo nordcoreano Kim Jong-un e il presidente cinese Xi Jinping. Putin renderà il favore andando a Pechino.
Il problema politico più serio è quello della parata a Pechino. La Cina è la seconda potenza economica del mondo e gli europei fanno la fila per stringere accordi commerciali (l’ultimo esempio è l’adesione di Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia alla Banca per le infrastrutture in Asia, guidata da Pechino e osteggiata da Washington). Però, nella visione cinese, la commemorazione del 3 settembre deve servire a ricordare al mondo «la vittoria del popolo cinese nella guerra di resistenza all’aggressione giapponese». Gli occidentali rischiano così di fare da testimoni e comparse in una grande rappresentazione di retorica anti-giapponese.
Per Shinzo Abe sembra quasi una trappola. Il leader giapponese insegue una normalizzazione nei rapporti con la Cina, ma non vuole rinunciare alla sua linea nazionalista. Il ministro degli Esteri di Pechino, Wang Yi, ha detto che Abe è invitato «come tutti i rappresentanti dei Paesi interessati al conflitto». Ma poi ha aggiunto: «Daremo il benvenuto a chi ha animo sincero: 70 anni fa il Giappone ha perso la guerra, 70 anni dopo non deve perdere la sua coscienza. Il nostro obiettivo è ricordare la storia, commemorare i martiri, curare la pace e guardare al futuro, vedremo se il Giappone saprà togliersi dalle spalle quel peso per la guerra d’aggressione». Tradotto: Pechino esige scuse profonde da Tokyo.
Abe ha convocato un consiglio di saggi per decidere l’atteggiamento. Sia che accetti l’invito, sia che resti in patria (come indicano fonti del suo governo), dovrà fare un discorso anche lui, per ricordare quella mattina del 2 settembre 1945 quando i delegati del Sol Levante firmarono la resa incondizionata sul ponte della corazzata «Missouri» nella baia di Tokyo. Si sa che il premier è tentato dall’idea di cancellare la parola «aggressione» dal suo discorso di scuse per il passato imperialista.
Secondo fonti diplomatiche a Pechino citate dal Financial Times anche i leader europei hanno dubbi. Si può andare ad assistere a una prevedibile umiliazione dell’alleato giapponese e a una contemporanea esibizione di forza militare sulla Tienanmen? Si dice che i cerimonieri di Pechino stiano pensando per questo di far sfilare mezzi e reparti in forma ridotta al Ponte Marco Polo, dove il 7 luglio del 1937 i giapponesi crearono un incidente che diede inizio alla guerra.
Guido Santevecchi


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