Ce ne sarebbe una quarta, ma bisogna arrivarci per gradi.
L’orrore umano, anzitutto. Come possiamo pensare che viaggi insieme a noi? Guardiamo gli altri passeggeri e sembrano anche loro affamati di vacanze, incontri, scoperte, magari quelli con l’abito e la tessera fedeltà di contratti da concludere a destinazione, nessuno certo s’imbarca per farla finita. E l’equipaggio che passa trascinando il trolley dal varco riservato è solo un’altra squadra di lavoro che parla di turni, tresche tra colleghi, ristoranti nella città in cui si atterra e si adoprerà per farci arrivare, non schiantare. Nel tempo abbiamo imparato a diventare sospettosi, a notare e perfino segnalare individui dall’apparenza o dal comportamento sospetti. Sono fobìe, ma con qualche giustificazione. Abbiamo preso atto dell’odio: pur di colpire c’è chi è pronto a morire con il proprio bersaglio.
Questo è il punto: il bersaglio. Per quanto folli gli assassini dell’aria ne hanno solitamente uno: l’America, l’Occidente, la razza ebrea, l’ex moglie che abita tremila metri più sotto. Nel film candidato all’Oscar Storie pazzesche un pilota chiuso in cabina ha regalato un volo omaggio a tutti quelli che gli han fatto del male e precipita con loro sulla casa dei genitori. L’orrore umano del copilota del volo 4U9525 è che ammazza 149 persone a caso, uomini donne e bambini di ogni nazionalità, età religione, spiaccicandole su una montagna senza storia. Non c’è significato, non c’è rappresentazione, non c’è causa: niente. Il vuoto. Per quanto appurato finora l’unico bersaglio “in chiaro” dell’azione omicida era lui stesso. Il resto del carico, il resto del mondo, un bagaglio senza etichetta: niente.
Come la eviti una cosa del genere? Tutto il teatro della sicurezza messo in piedi dopo l’11 settembre 2001 è, appunto, teatro. Si recita a soggetto, la battuta arriva sempre in ritardo e si sente distintamente la voce del suggeritore. Ogni intervento segue un’azione già compiuta, è prevenzione postuma. Si controllano scarpe e liquidi dopo che qualcuno ha già tentato di usarli come arma (senza successo) e si continua a farlo quando è chiaro che nessuno ci proverà più. Tutte le forbicine, i flaconi di profumo fuori misura e i formaggi molli sequestrati non sono parziali vittorie ma altrettante imminenti sconfitte, decretate il giorno in cui il disastro si compie in forme non previste. Ma quanto è prevedibile, su un aereo?
Se io decido, come ho fatto proprio nel giorno della sciagura, di guidare per mille chilometri sotto la pioggia battente e praticamente senza soste corro un rischio, certo, infrango protocolli di sicurezza e tuttavia so che il mezzo meccanico è stato controllato prima della partenza, cambiate ruote e spazzole tergicristallo, mi sento in forma e con i riflessi pronti, il mio copilota, seppur infortunato, ha la stessa mia smania di arrivare al traguardo e non mi sterzerà il volante all’improvviso. Quando salgo su un aereo delego totalmente ad altri la mia incolumità. Posso solo sperare che la compagnia aerea abbia effettuato i controlli, che i miei vicini di poltrona non siano malintenzionati e, ma non da ieri, che i piloti abbiano coniugi focose o amanti devote ad attenderli. Tutto quello che le hostess o i video di bordo raccontano, “nel malaugurato caso di incidente” è altro teatro: maschere a ossigeno, salvagenti e portelloni a spinta sono oggetti di scena che rimarranno inutilizzati. A che cosa possiamo votarci?Anni fa presi un volo Beirut-Parigi. Nella capitale libanese ci sono 17 confessioni religiose, ma è difficile distinguere chi crede in cosa, sono tutti “in borghese”. Né tuniche, né veli: cristiani e musulmani sono uguali. Poi ci fu una forte turbolenza e potei facilmente distinguerli: i cristiani pregavano per la salvezza, i musulmani, immobili, si rimettevano al volere di dio (inshallah). Il fatalismo non è una fede, ma un atteggiamento laico e pragmatico. La cronaca ci insegna che ogni sciagura ha scampati per un cambio di rotta all’ultimo momento e vittime per lo stesso motivo. Probabilmente martedì scorso in Europa ci sono state 150 vittime di incidenti domestici. Il punto non è garantire la sopravvivenza (impossibile) ma affermare un senso. Non ci sarà mai una scatola nera delle emozioni e dei pensieri di un uomo ma è da lì che va estirpato l’orrore, lì che va riempito il vuoto.