Svolta di Boko Haram “Noi con il Califfo” Il network del terrore che fa tremare il mondo

by redazione | 10 Marzo 2015 9:52

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IL LEADER dello Stato islamico, Abu Bakr Al Baghdadi, si è guadagnato un nuovo seguace. In un video pubblicato su un noto sito estremista, Abu Bakr Shekau, capo del movimento integralista nigeriano Boko Haram (che significa “L’educazione occidentale è proibita”), nel fine settimana ha giurato fedeltà al “Califfo dei musulmani”, impegnandosi ad «ascoltarlo e seguirlo in tempi di difficoltà e prosperità, di ristrettezze e di agi».
Non è certo il primo giuramento di fedeltà che arriva ad Al-Baghdadi. Da quanto quest’ultimo si è autoproclamato capo del nuovo califfato fondato lo scorso giugno, una dozzina di gruppi di varie parti del mondo islamico hanno giurato fedeltà allo Stato islamico, e altri ancora hanno dichiarato il loro sostegno. Nella maggior parte dei casi, però, si tratta di cellule sconosciute o fazioni minori, spesso nate da scissioni da organizzazioni più consolidate e che puntano soprattutto a ritagliarsi un vantaggio locale sui rivali più prossimi. Per ogni gruppo che ha realmente capacità di far danni (per esempio quelli del Sinai egiziano o della Libia), ce ne sono molti altri assolutamente marginali.
Boko Haram, che secondo i servizi segreti americani può contare su circa 5.000 combattenti, è attiva da sei anni e controlla una porzione consistente della Nigeria nordorientale, è la prima grande organizzazione a schierarsi sotto la bandiera nera dello Stato islamico.
Erano alcuni mesi che diversi segnali facevano pensare che Shekau, che guida Boko Haram da quando il fondatore dell’organizzazione è stato ucciso nel 2009, stesse contemplando una mossa del genere. I comunicati e i video di Boko Haram erano sempre più indistinguibili da quellidello Stato islamico, e sempre più spesso contenevano dichiarazioni di approvazione dell’ambizioso progetto del gruppo guidato da Al Baghdadi.
I due gruppi, tuttavia, non sono partner naturali. Anche se lo Stato islamico ha costantemente allargato il suo raggio d’azione da Iraq e Siria a gran parte del Medio Oriente e del Nordafrica, Al Baghdadi è un iracheno e nonostante i suoi riferimenti alla umma , la comunità mondiale dei musulmani, è motivato in larghissima misura dal desiderio di creare uno Stato islamico integralista nel suo Paese e contrastare il potere crescente, ai suoi occhi, dei musulmani sciiti nella regione.
Anche Shekau ha obiettivi locali, sebbene anche lui invochi un’identità musulmana globale per giustificare alcuni dei suoi atti di violenza. Il vero nome di Boko Haram è Jama’at Ahl al Sunna lil-Da’wah wa al-Jihad , ossia Unione sunnita per la predicazione e la lotta, e anche se ha preso di mira obiettivi internazionali come le Nazioni Unite, le sue radici affondano nelle profonde tensioni politiche, sociali e religiose della Nigeria, e rappresenta un tentativo di strumentalizzare la religione per risolvere contrasti di vecchia data. Boko Haram ha già proclamato un califfato, ma di portata a quanto pare molto locale. Negli ultimi anni, inoltre, Boko Haram ha avuto ripetuti contatti con elementi di Al Qaeda nel Maghreb, affiliata ai grandi rivali dello Stato islamico.
Ci sono altri elementi, però, che uniscono i due gruppi. Tutti e due sembrano avere il progetto di un’organizzazione islamista combattente di tipo nuovo, molto diversa dal modello di cui Al Qaeda è stata il primo prototipo. Entrambi i gruppi si disinteressano della teologia, perfino di quella versione degradata della teologia che propugnava Osama Bin Laden. Il capo terrorista di origini saudite fece sforzi enormi per offrire una giustificazione intellettuale alle sue campagne. Al Baghdadi e Shekau sembrano guardare con sdegno perfino quei religiosi radicali le cui fatwa solo qualche anno fa venivano sistematicamente invocate come giustificazione per la violenza dei militanti.
Tutti e due i gruppi sembrano anche disposti a spingere la violenza contro i civili a nuovi estremi, anche se sembrano comprendere la necessità di fornire servizi di base e sicurezza alla popolazione, quando assumono il controllo di un territorio. Tutti e due i gruppi progettano con attenzione operazioni finalizzate a sconvolgere l’opinione pubblica locale e internazionale e a massimizzare il loro impatto attraverso i social media. Boko Haram ha accolto con grande compiacimento lo sdegno provocato dal rapimento di oltre 200 studentesse da parte dei suoi militanti, mentre lo Stato islamico sembra deciso ad amplificare al massimo ognuna delle sue accurate coreografie dell’orrore, che si tratti del massacro di cristiani copti su una spiaggia o del rogo di un pilota giordano dentro una gabbia.
Tutti e due i gruppi hanno anche una rete di contatti inedita con le organizzazioni criminali, a un livello a cui Al Qaeda non è mai riuscita ad arrivare, e ricavano gran parte dei loro finanziamenti dalla cattura di ostaggi o dal contrabbando.
Infine, Boko Haram e lo Stato islamico sembrano accomunati dalla stessa visione sui modi migliori per espandere la propria azione. Al Qaeda puntava su una campagna di istigazione globale — attentati spettacolari pensati per terrorizzare, radicalizzare, mobilitare e polarizzare — che le portasse il prestigio e le risorse necessari per costruire una rete di filiali locali. Attualmente esistono quattro di queste filiali: nello Yemen, in Somalia, nel Maghreb e in Siria, dove Jabhat al-Nusra garantisce a quello che resta della cupola di Al Qaeda, guidata da Ayman al-Zawahiri, una presenza rilevante nel conflitto più grosso in cui siano impegnati al momento i combattenti islamisti.
Lo Stato islamico sembra invece che stia facendo il contrario. Si concentra minuziosamente sulla campagna in Iraq e Siria, in linea con il motto del gruppo, «Rimani ed espandi», mentre l’espansione globale sembra demandata all’effetto eclatante del successo locale nel cuore del suo territorio. La strategia sembra funzionare, con ramificazioni del Califfato che stanno venendo alla luce in tutto il mondo islamico. Quasi ovunque sono ancora marginali, ma rappresentano comunque un interessante esperimento di costruzione di uno Stato senza confini, o anche semplicemente territori contigui.
Finora Al Baghadi, o il califfo Ibrahim, come si autodefinisce, non ha risposto al giuramento di fedeltà di Shekau. Ma se lo accoglierà, allora lo Stato islamico avrà acquisito la sua prima filiale rilevante in un altro Paese.
Almeno in teoria. E questo è un elemento fondamentale per stabilire quale tipo di minaccia può rappresentare per l’Occidente un collegamento di questo genere. Perché non è per niente chiaro se possa esserci una qualche collaborazione significativa tra Boko Haram e lo Stato islamico, almeno in termini di operazioni contro interessi o cittadini europei o statunitensi. Le due organizzazioni sono separate da migliaia di chilometri di terreni inospitali, e tutte e due sono sottoposte a una pressione fortissima da parte delle forze armate locali e dei servizi di antiterrorismo internazionali. Qualunque alleanza invierebbe un messaggio, anche e soprattutto ad al Qaeda, su quale organizzazione estremista ha il predominio in questo momento a livello globale. Ma qualunque nuova relazione rischia di essere più simbolica che sostanziale.
Un rischio potrebbe essere che l’attenzione a un collegamento, putativo o reale, tra Boko Haram e lo Stato islamico possa distrarre l’attenzione dalle minacce che restano più rilevanti per l’Europa, e cioè gli individui e i gruppi locali “ispirati” dallo Stato islamico, i veterani di ritorno dalla Siria, l’espansione dello Stato islamico in Libia e gruppi come Al Qaeda nella Penisola Arabica, che hanno una lunga storia di attentati contro gli Stati Uniti e i Paesi europei. Shekau e i suoi proclami magniloquenti vanno certamente tenuti d’occhio, e la risposta del cosiddetto Califfo va senz’altro considerata con attenzione, ma è su casa nostra che dobbiamo rimanere concentrati.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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