Attacco al peschereccio italiano Il blitz della Marina in Libia

by redazione | 18 Aprile 2015 9:11

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MAZARA DEL VALLO (TRAPANI) Che uno strano rimorchiatore senza bandiere, fornito di telecamere, con gente armata a bordo, girasse attorno ai pescherecci di Mazara del Vallo impegnati come sempre con chilometriche reti al centro del Mediterraneo si sapeva da venti giorni. E anche il comandante dell’Airone, Alberto Figuccia, aveva allertato l’armatore Vito Mazzarino, parlandone con il presidente del loro distretto, Giovani Tumbiolo. Tutti inquieti. Pensando al groviglio di milizie e pirati libici.
Ma non se l’aspettavano un abbordaggio da corsari nel cuore della notte, alle 3.30, con la fiancata del rimorchiatore stretta a quella del peschereccio, le armi puntate contro i sette uomini dell’equipaggio, tre siciliani e quattro tunisini, mentre due aggressivi individui saltavano a bordo dicendo di essere militari libici: «State pescando nelle nostre acque. Adesso cambiate rotta e ci seguite a Misurata».
Minacce echeggiate pure verso un peschereccio vicino che, tagliate le reti, si è dato subito alla fuga. Come è riuscito a fare anche il comandante Figuccia in una sequenza mozzafiato. Perché, non appena uno dei due libici è saltato di nuovo su quell’anonimo rimorchiatore, l’altro aggressore, rimasto sull’Airone convinto di potere governare da solo l’equipaggio, è stato afferrato da Figuccia che lo ha rinchiuso in un vano. Dando forza ai motori per scappare da quel teatro di guerra, a 90 miglia dalla Libia. Il peggio è stato poi scongiurato dal rapido arrivo della fregata Bergamini, una delle navi della Marina italiana impegnate nell’operazione «Mare sicuro».
Anche il resto del racconto sembra una sequenza cinematografica, culminata purtroppo in un incidente, perché dalla pistola di un militare italiano è partito un colpo con schegge che hanno ferito a un piede uno dei tunisini dell’Airone. Ma si è rivelata comunque provvidenziale la comparsa della Bergamini perché al primo Sos si è alzato in volo l’elicottero di bordo che ha disorientato i libici, raggiunti in poco tempo da un veloce gommone con i militari che sono saltati sul peschereccio siciliano per proteggerlo e scortarlo.
Un rientro di venti ore, seguito con ansia dai parenti, dalla moglie di Figuccia, la signora Elisa che ripete in lacrime col marito «ringraziamo Dio, Padre Pio e la Marina». Ma è proprio la Marina ad essere paradossalmente investita dall’accusa di pirateria lanciata dal portavoce del comune di Misurata, Ramadan al Moatiq. Il rappresentante libico parla di «violazione delle acque territoriali libiche» con l’obbligo dei pescatori fermati «di essere sottoposti a interrogatorio come esige la sovranità della Libia». Posizione bizzarra per un’area dove lo stesso concetto di sovranità è aleatorio. Ragione in più per la soddisfazione dei ministri degli Esteri Paolo Gentiloni e della Difesa Roberta Pinotti, perché «i dispositivi di sicurezza dimostrano di funzionare».
Ma a Mazara chiedono tutti di più, terrorizzati dal rischio di finire nelle carceri libiche per una infondata rivendicazione su acque troppo lontane da Tripoli, come ripete Domenico Asaro, presidente della confederazione Pesca: «Solo il coraggio espresso dall’equipaggio dell’Airone ha evitato un’ulteriore ingiustizia in queste acque chiaramente internazionali». Di qui l’invocazione alla Marina di vigilare sempre di più sui pescatori siciliani. Altro, antico groviglio del Mediterraneo.
Felice Cavallaro
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