«I legami con ambasciatori e 007» Il manager della Coop Simone svela il sistema
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NAPOLI È una collaborazione piena quella che Francesco Simone ha avviato con i magistrati di Napoli. Il manager della «Cpl Concordia» arrestato per le tangenti che sarebbero state versate per la metanizzazione di Ischia, ha già reso diversi interrogatori in pochi giorni, e il primo effetto delle sue rivelazioni è stata l’allargamento dell’inchiesta anche agli appalti che la cooperativa si aggiudicò a Procida. E continuerà a parlare, Simone, della sua «rete» di relazioni che comprende politici, imprenditori, esponenti delle forze dell’ordine. Assistito dall’avvocato Maria Teresa Napolitano sta ricostruendo quel «metodo operativo fatto di relazioni, collaborazioni e consulenze». Rapporti che avrebbero consentito alla cooperativa modenese di ottenere decine di appalti, anche grazie alla possibilità di godere di una corsia privilegiata nelle gare per l’assegnazione dei lavori pubblici.
Affari in tutt’Italia
Nuovi sviluppi nell’indagine seguita dai pubblici ministeri Henry John Woodcock e Celeste Carrano potrebbero arrivare nei prossimi giorni, addirittura nelle prossime ore. Le indiscrezioni assicurano che Simone sta svelando i retroscena degli incarichi ottenuti in Campania, ma avrebbe già cominciato ad entrare nei dettagli di un meccanismo ben collaudato anche in diverse Regioni, tanto che alcuni atti potrebbero essere trasmessi per competenza ad altre Procure. Di certo, almeno a leggere gli atti processuali, ben si comprende la vastità della «rete» messa in piedi dal 2004, anno in cui ottenne il primo contratto con la «Cpl» e soprattutto si ha la conferma che in alcuni casi il manager aveva messo a disposizione anche la propria attività in Tunisia e la possibilità di agevolare i propri interlocutori aprendo società fittizie in nord Africa e così spostando capitali frutto di «fondi neri» ottenuti con l’emissione di false fatture. La pista dei soldi portati all’estero e poi fatti rientrare in Italia anche grazie alla complicità di alcuni direttori di banca e almeno un addetto allo scalo aeroportuale.
Di tutto questo i magistrati hanno chiesto conto al manager, consapevoli che la sua scelta di collaborare può aprire scenari inediti nell’indagine avviata un anno e mezzo fa. Simone non aveva infatti difficoltà a trattare con i politici, con i rappresentanti delle istituzioni, con gli amministratori pubblici. Ma poteva contare anche su legami consolidati con appartenenti alle forze dell’ordine, al cuni finanzieri, funzionari dei servizi segreti. Agli atti ci sono le telefonate e le successive cene organizzate con l’ambasciatore albanese, le intercettazioni svelano come fosse stato coinvolto addirittura nella vicenda dell’espulsione di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov. E Simone parla di funzionari della questura che sarebbero stati «comprati». Il 16 luglio 2013, mentre il caso travolge i vertici del Viminale, il manager parla al telefono con un amico e dice: «Politicamente è un disastro, questi litigano sul caso kazako che è una vergogna. Ovviamente! Perché che c…, cioè lì io so perché, io conosco bene l’ambasciatore del Kazakistan. È a libro paga più di qualche d’uno lì dalle parti della questura, capito? Quindi quello è andato, gli ha detto che è un pericoloso delinquente senza dirgli che è un rifugiato politico. Quelli si sono come dire, scappellati e gli hanno fatto ‘sta marchetta, senza che secondo me veramente il ministro sapesse un c…».
«Schifato dalla politica»
Con lo stesso amico Simone parla anche del rapporto con ha con Giulio Tremonti e quando l’altro gli chiede se sia ancora in politica risponde: «No guarda io ho dato una mano a Tremonti e adesso sono più schifato di prima. Ovviamente il suo rapporto, la sua vicinanza con lui mi crea delle opportunità di relazioni importanti quando servono, io le uso veramente con il contagocce, però faccio il mio lavoro, faccio le relazioni istituzionali per alcuni gruppi importanti che sono nel settore energetico, nel settore infrastrutture…».
Scrivono i carabinieri del Noe in una delle ultime informative trasmesse ai magistrati: «È emerso un rapporto di complicità di Simone con numerosi soggetti, finalizzato tra l’altro, a favorire la nomina di persone conoscenti per incarichi di livello in importanti società al fine di ottenere un “tornaconto” personale».
Fulvio Bufi
Fiorenza Sarzanini
Nuovi sviluppi nell’indagine seguita dai pubblici ministeri Henry John Woodcock e Celeste Carrano potrebbero arrivare nei prossimi giorni, addirittura nelle prossime ore. Le indiscrezioni assicurano che Simone sta svelando i retroscena degli incarichi ottenuti in Campania, ma avrebbe già cominciato ad entrare nei dettagli di un meccanismo ben collaudato anche in diverse Regioni, tanto che alcuni atti potrebbero essere trasmessi per competenza ad altre Procure. Di certo, almeno a leggere gli atti processuali, ben si comprende la vastità della «rete» messa in piedi dal 2004, anno in cui ottenne il primo contratto con la «Cpl» e soprattutto si ha la conferma che in alcuni casi il manager aveva messo a disposizione anche la propria attività in Tunisia e la possibilità di agevolare i propri interlocutori aprendo società fittizie in nord Africa e così spostando capitali frutto di «fondi neri» ottenuti con l’emissione di false fatture. La pista dei soldi portati all’estero e poi fatti rientrare in Italia anche grazie alla complicità di alcuni direttori di banca e almeno un addetto allo scalo aeroportuale.
Di tutto questo i magistrati hanno chiesto conto al manager, consapevoli che la sua scelta di collaborare può aprire scenari inediti nell’indagine avviata un anno e mezzo fa. Simone non aveva infatti difficoltà a trattare con i politici, con i rappresentanti delle istituzioni, con gli amministratori pubblici. Ma poteva contare anche su legami consolidati con appartenenti alle forze dell’ordine, al cuni finanzieri, funzionari dei servizi segreti. Agli atti ci sono le telefonate e le successive cene organizzate con l’ambasciatore albanese, le intercettazioni svelano come fosse stato coinvolto addirittura nella vicenda dell’espulsione di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov. E Simone parla di funzionari della questura che sarebbero stati «comprati». Il 16 luglio 2013, mentre il caso travolge i vertici del Viminale, il manager parla al telefono con un amico e dice: «Politicamente è un disastro, questi litigano sul caso kazako che è una vergogna. Ovviamente! Perché che c…, cioè lì io so perché, io conosco bene l’ambasciatore del Kazakistan. È a libro paga più di qualche d’uno lì dalle parti della questura, capito? Quindi quello è andato, gli ha detto che è un pericoloso delinquente senza dirgli che è un rifugiato politico. Quelli si sono come dire, scappellati e gli hanno fatto ‘sta marchetta, senza che secondo me veramente il ministro sapesse un c…».
«Schifato dalla politica»
Con lo stesso amico Simone parla anche del rapporto con ha con Giulio Tremonti e quando l’altro gli chiede se sia ancora in politica risponde: «No guarda io ho dato una mano a Tremonti e adesso sono più schifato di prima. Ovviamente il suo rapporto, la sua vicinanza con lui mi crea delle opportunità di relazioni importanti quando servono, io le uso veramente con il contagocce, però faccio il mio lavoro, faccio le relazioni istituzionali per alcuni gruppi importanti che sono nel settore energetico, nel settore infrastrutture…».
Scrivono i carabinieri del Noe in una delle ultime informative trasmesse ai magistrati: «È emerso un rapporto di complicità di Simone con numerosi soggetti, finalizzato tra l’altro, a favorire la nomina di persone conoscenti per incarichi di livello in importanti società al fine di ottenere un “tornaconto” personale».
Fulvio Bufi
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