Le zone d’ombra dei droni CIA

Le zone d’ombra dei droni CIA

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Sono molte, troppe le zone d’ombra che gra­vano sull’operazione ame­ri­cana che a gen­naio è costata la vita a War­ren Wein­stein e Gio­vanni Lo Porto, in una loca­lità tri­bale al con­fine fra Afga­ni­stan e Paki­stan. Innan­zi­tutto la data, iden­ti­fi­cata dalla Casa bianca come il 14 gen­naio: oltre tre mesi fa. Tre mesi e mezzo di silen­zio per coprire uno degli «sba­gli« più cla­mo­rosi e tra­gici della guerra dei droni da anni in corso ovun­que gli ana­li­sti della Cia si riten­gano auto­riz­zati a «neu­tra­liz­zare» ele­menti nemici. Per 100 giorni la Casa bianca ha taciuto sul «danno col­la­te­rale» di cui era appa­ren­te­mente al cor­rente sin da poco dopo lo sgan­cio delle bombe, su quelle che fonti della Cia hanno defi­nito un nascon­di­glio di ope­ra­tori di Al Qaeda.

«Come coman­dante in capo mi assumo la piena respon­sa­bi­lità per l’operazione» ha affer­mato Obama nel suo annun­cio gio­vedì, ma la sua tar­diva ammis­sione piena di omis­sioni e appros­si­ma­zioni ha sol­le­vato più que­siti rispetto a quelli che ha chia­rito. È evi­dente che la tra­spa­renza, non sem­bra una prio­rità per un’amministrazione che ancora una volta riven­dica la segre­tezza come arma di guerra e non esita a men­tire in pubblico.

La Cia — ad esem­pio — sostiene di aver avuto «intel­li­gence sicura» nell’indicazione della pre­senza nella loca­lità col­pita di «coman­danti Al Qaeda di medio rango», ma allo stesso tempo insi­ste di non aver saputo di chi si trat­tasse esat­ta­mente. Nella ver­sione uffi­ciale di Lan­gley gli ana­li­sti Usa avreb­bero capito solo il 12 aprile chi ave­vano sor­ve­gliato e ucciso tre mesi prima, da un tweet uffi­ciale di Usama Mah­mood, por­ta­voce di Al Qaeda nel sub­con­ti­nente indiano, che la scorsa set­ti­mana ha con­fer­mato la morte di Ahmad Farouq, in un bom­bar­da­mento ame­ri­cano nei pressi di Wacha Dara nel Wazi­ri­stan meri­dio­nale. Mah­mood ha attri­buito al bom­bar­da­mento del 15 gen­naio anche la morte di sette altri jiha­di­sti ma non men­ziona i due ostaggi uccisi né il nome di Adam Gadahn, un secondo ame­ri­cano eli­mi­nato dai mis­sili Cia.

I nomi dei due ame­ri­cani, Farouk e Gadahn, sareb­bero stati da tempo sulla «kill list» della Casa bianca, l’elenco di vit­time desi­gnate e appro­vate dal pre­si­dente. In par­ti­co­lare, Farouq sarebbe stato già nel mirino di una pre­ce­dente ope­ra­zione di droni lo scorso dicem­bre. Mal­grado que­sto e mal­grado sostenga di aver osser­vato a lungo la base di Wacha Dara, regi­strando «cen­ti­naia di ore di video­sor­ve­glianza», la Cia afferma di «non aver saputo» chi esat­ta­mente sarebbe stato col­pito dai mis­sili. L’improbabile affer­ma­zione sem­bre­rebbe equi­va­lere quan­to­meno ad un’ammissione di incom­pe­tenza, ma la cir­co­spe­zione si spiega con le pole­mi­che divam­pate in pas­sato sull’assassinio pre­ven­tivo di «com­bat­tenti americani».

Va spe­ci­fi­cato che la guerra dei droni — con le sue cen­ti­naia di vit­time civili «col­la­te­rali» — è un dato in gran parte acqui­sito da un’opinione pub­blica ame­ri­cana che ha volen­tieri rimosso la «war on ter­ror». La que­stione era venuta al pet­tine in occa­sione dell’uccisione nel 2011 di Anwar al-Awlaki l’imam nato in Colo­rado e dive­nuto ideo­logo jiha­di­sta in Yemen. Obama che riven­dica il diritto di simili «neu­tra­liz­za­zioni» come parte di ope­ra­zioni bel­li­che, gio­vedì ha con­fer­mato la morte di Gadahn il por­ta­voce cali­for­niano di Al Qaeda. Il decesso sarebbe arri­vato sem­pre a gen­naio, ma in un’altra ope­ra­zione in una loca­lità non pre­ci­sata della regione tri­bale pakistana.

L’uomo di 36 anni, cre­sciuto in una comune agri­cola paci­fi­sta vicino Los Ange­les, si era con­ver­tito all’islam da ado­le­scente e poi si era arruo­lato in Al Qaeda come inter­prete e por­ta­voce anglo­fono di molti comu­ni­cati video pro­dotti da As Sahab, il brac­cio media­tico dell’organizzazione. La sua morte e quella di Farouk, oltre natu­ral­mente a quelle di Wein­stein e Lo Porto ria­prono ora la que­stione «etica» della guerra segreta che rischia di rima­nere come prin­ci­pale mac­chia della pre­si­denza Obama. I soste­ni­tori del pre­si­dente sono i fal­chi repub­bli­cani come il sena­tore Lind­say Gra­ham che ha dichia­rato: «Si chiama guerra e in guerra i danni col­la­te­rali sono ine­vi­ta­bili. Non fer­me­remo le ope­ra­zioni dei droni. (…) mi spiace per le vit­time inno­centi ma sono felice della morte dei due tra­di­tori americani».

Un momento di sin­ce­rità nel mare di ambi­guità che ha carat­te­riz­zato la gestione di tutta la vicenda da parte dell’amministrazione e che sono l’ultima, ulte­riore, lam­pante dimo­stra­zione dell’inevitabile deriva morale di una guerra segreta. Una lezione di cui dovreb­bero fare tesoro tutti i nuovi tifosi dei droni come solu­zione chi­rur­gica e tele­co­man­data per i mali intrat­ta­bili del mondo.



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