Scossone al vertice dell’Arabia Saudita I nuovi eredi del Re

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GERUSALEMME Corone&poltrone, si cambia. In una dinastia che solo tre mesi fa seppelliva il penultimo sovrano Abdullah, 90 anni, per festeggiarne il suo successore, 79 anni, i trentaquattro regi decreti promulgati ieri da Sua Altezza il Custode delle Due Nobili Moschee Salman Bin Abdulaziz Al Saud, per tutti il nuovo re Salman, sono una rottamazione mai vista a Riad. Una rivoluzione di palazzo. Fuori i dinosauri della seconda generazione dei Saud: dentro i giovani leoni della terza. A casa un ministro degli Esteri che stava là dal 1975, il vecchio Al Faisal: avanti con l’ex ambasciatore a Washington, Al Jubeir, 53 anni, che sarà il primo di sangue non reale a coprire quella carica. Dall’Arabia felix all’Arabia ferox: il placido re Salman ha uno scatto d’orgoglio e caccia quasi tutti. Scegliendosi anche quel che più gli preme: un nuovo erede. E’ così costretto a dimettersi «di sua volontà» il principe-fratello Muqrin: a succedergli in prima linea non sarà nemmeno qualcuno del ramo cadetto, ma addirittura il principe-nipote Nayef, 55 anni, ministro dell’Interno e gran mastino dell’antiterrorismo. Questo finché non verrà poi il turno del principe-figlio di re Salman, Mohammad Bin Salman, 30 anni, che solo quattro mesi fa era un perfetto sconosciuto ed è già diventato ministro della Difesa: continuerà a coordinare i bombardamenti sui ribelli sciiti nello Yemen e, investito del ruolo d’erede dopo Nayef, studierà anche lui da sovrano.
Diceva il vecchio re Faisal che Dio ci ha dato due orecchie e una sola bocca, per ascoltare molto e parlare poco. L’impenetrabile corte saudita ha sempre applicato benissimo l’insegnamento. La nuova successione e il rimpasto erano attesi, ma non ora e non così. Ne è rimasto sorpreso pure il mercato del greggio, subito calato. Anche perché l’incertezza è su quel che accadrà ora all’Aramco, il colosso che gestisce i pozzi del primo Paese esportatore del mondo: il numero uno della compagnia è stato nominato nuovo capo della Sanità e non è detto che il suo rimpiazzo sarà deciso dall’attuale ministro del Petrolio, il vecchio Ali al-Naimi, 79 anni, da venti sempre lo stesso.
Tutto cambia perché nulla cambi. La rivoluzione di re Salman, che in futuro potrebbe riguardare anche più diritti alle donne, serve a dare un’immagine più aperta e una visione più strategica a una monarchia che si sente nel mirino: dell’Iran e del suo espansionismo dal Libano alla Siria, dall’Iraq al Bahrein e allo Yemen; dell’amico americano, sempre meno amico e sempre più disimpegnato nel Golfo, dopo l’intesa con Teheran sul nucleare; dell’Isis, comparso anche in Arabia con una cellula di 93 persone che preparavano clamorosi attentati. I clerici wahhabiti non perdonano ai Saud d’avere perso terreno di fronte all’avanzata sciita e la risposta, dicono diplomatici a Riad, è proprio la scelta di Nayef: scampato per caso a un kamikaze che superò tutti i controlli, perché gli entrò in ufficio con l’esplosivo installato nello stomaco, il tosto sceicco dell’antiterrorismo è quello che meglio conosce i dossier della penetrazione iraniana nella Penisola arabica. La complicata missione sua e di Jubeir, piaccia o no a Obama, sarà di coalizzare tutti i sunniti in un fronte militare comune, dall’Egitto al Pakistan. Per festeggiare la svolta, dopo aver regalato una Bentley a ciascuno dei piloti di ritorno dai bombardamenti sullo Yemen, re Salman ieri ha firmato un ultimo decreto: un mese di stipendio in più ai 200mila soldati del regno. Perché si preparino.
Francesco Battistini
Diceva il vecchio re Faisal che Dio ci ha dato due orecchie e una sola bocca, per ascoltare molto e parlare poco. L’impenetrabile corte saudita ha sempre applicato benissimo l’insegnamento. La nuova successione e il rimpasto erano attesi, ma non ora e non così. Ne è rimasto sorpreso pure il mercato del greggio, subito calato. Anche perché l’incertezza è su quel che accadrà ora all’Aramco, il colosso che gestisce i pozzi del primo Paese esportatore del mondo: il numero uno della compagnia è stato nominato nuovo capo della Sanità e non è detto che il suo rimpiazzo sarà deciso dall’attuale ministro del Petrolio, il vecchio Ali al-Naimi, 79 anni, da venti sempre lo stesso.
Tutto cambia perché nulla cambi. La rivoluzione di re Salman, che in futuro potrebbe riguardare anche più diritti alle donne, serve a dare un’immagine più aperta e una visione più strategica a una monarchia che si sente nel mirino: dell’Iran e del suo espansionismo dal Libano alla Siria, dall’Iraq al Bahrein e allo Yemen; dell’amico americano, sempre meno amico e sempre più disimpegnato nel Golfo, dopo l’intesa con Teheran sul nucleare; dell’Isis, comparso anche in Arabia con una cellula di 93 persone che preparavano clamorosi attentati. I clerici wahhabiti non perdonano ai Saud d’avere perso terreno di fronte all’avanzata sciita e la risposta, dicono diplomatici a Riad, è proprio la scelta di Nayef: scampato per caso a un kamikaze che superò tutti i controlli, perché gli entrò in ufficio con l’esplosivo installato nello stomaco, il tosto sceicco dell’antiterrorismo è quello che meglio conosce i dossier della penetrazione iraniana nella Penisola arabica. La complicata missione sua e di Jubeir, piaccia o no a Obama, sarà di coalizzare tutti i sunniti in un fronte militare comune, dall’Egitto al Pakistan. Per festeggiare la svolta, dopo aver regalato una Bentley a ciascuno dei piloti di ritorno dai bombardamenti sullo Yemen, re Salman ieri ha firmato un ultimo decreto: un mese di stipendio in più ai 200mila soldati del regno. Perché si preparino.
Francesco Battistini
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